È difficile parlare di Enrico Mattei senza scadere in agiografie o luoghi comuni. A 60 anni dall’attentato aereo di Bascapé, in cui persero la vita il Presidente dell’ENI, il fedele pilota Irnerio Bertuzzi e il giornalista americano William McHale, l’Italia è profondamente cambiata. L’amore per la complessità e la capacità di fare sintesi tra culture politiche, anche molto diverse tra loro, sembrano scomparse. Nella polarizzazione strillona, alimentata dai social e da un dibattito che lascia spazio solo a opposizioni binarie, la figura di Enrico Mattei può scardinare ogni rifugio interpretativo, alimentando dubbi e spunti di riflessione su un passato prossimo così lontano. Come incasellare infatti un partigiano, favorevole nel secondo dopoguerra alla messa al bando del M.S.I., che si ritrovò a finanziare anni dopo (tra gli altri) il medesimo partito, sviluppando peraltro un rapporto solidissimo con il repubblichino Carlo Zanmatti, ingegnere dell’AGIP che per primo gli spiegò le potenzialità nascoste della Valle Padana? Come far accettare un anticomunista convinto che sfidava il blocco occidentale facendo accordi con l’Unione Sovietica e la Cina di Mao, oltre a sostenere pubblicamente leader e formazioni terzomondiste? Domande che resterebbero sterili provocazioni se non ci trovassimo oggi in un tornante storico dove guerra e questione energetica sembrano chiudere ogni ipotesi di dialogo (e di riflessione critica) tra mondi contrapposti.
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