Un tonfo sordo, seguito dalle grida di giubilo di qualche scalmanato. A Minneapolis, in Minnesota, la statua di Cristoforo Colombo è abbattuta da una folla inferocita. Siamo nell’estate del 2020, resa rovente dall’imminente tornata elettorale che avrebbe consacrato – pochi mesi più tardi – la controversa elezione di Joe Biden alla Presidenza degli Stati Uniti. La piazza, attraversata da un corteo di ‘Black Lives Matter’, assume le sembianze di un set cinematografico: telecamere, microfoni e giornalisti proiettano in ogni angolo del globo il triste spettacolo dell’iconoclastia, il cui unico scopo è quello di alimentare una ‘strategia della tensione’ che possa pregiudicare la credibilità di Donald Trump, inspiegabilmente solida malgrado la difficile situazione pandemica. La commossa rivendicazione dei dimostranti – sincera come una birra analcolica – rimanda all’omicidio del pluripregiudicato afroamericano George Floyd, ucciso in strada da un poliziotto bianco e prontamente trasformato nel martire planetario del ‘razzismo’.
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