Alle generazioni attuali è dato il destino di assistere alla fine degli Stati nazionali. Entità globali ne hanno già preso il posto, ormai da qualche lustro. In Europa, questo processo si è completato con il definitivo abbandono dell’ipotesi di sottoporre ai cittadini l’approvazione di una carta costituzionale che sancisca la nascita di un nuovo soggetto politico continentale. Com’è noto, con il Trattato di Lisbona del 2007, l’Unione Europea si è dotata di un surrogato di costituzione con cui dirigere le politiche degli Stati membri. Con la Banca Centrale Europea, poi, viene diretta la politica monetaria, anch’essa sottratta alle decisioni dei governi nazionali. La cosiddetta ‘cessione di sovranità’ è, quindi, compiuta. Che ne è, allora, dello Stato nazionale? Lo Stato, reso possibile dal ‘cammino di Dio nel mondo’ (Hegel, ‘Lezioni di filosofia del Diritto’, 1825), è ancora la sintesi di tutti gli elementi distintivi di un popolo elevati al loro massimo grado di espressione? Può essere concepito, infine, come la sistemazione, ancorché temporanea, di un patto implicito tra individui, che delegano i poteri con cui prevaricherebbero i loro simili? Una risposta a questi interrogativi non può prescindere da un’analisi di ciò che lo Stato era rispetto a ciò che è diventato a seguito di una serie di crisi e trasformazioni, che ne hanno contrassegnato lo sviluppo.
Autore
Massimo Pacilio

Massimo Pacilio
Conferenziere, autore di articoli e di saggi pubblicati dalle 'Edizioni di Ar'. Le sue opere sono dedicate a R. Guénon, J. Evola e al fenomeno migratorio. Insegna Lingua e letteratura italiana e Storia nelle scuole secondarie.
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