Ha ragione Marcello Veneziani quando dice che dell’egemonia culturale di gramsciana memoria, oggi, sopravvive una sbiadita controfigura che «consiste nel prevalere di una narrazione con i suoi ingredienti d’obbligo (in tema di storia, società, migranti, sessi e omosessi, emergenze varie) a tutti i livelli: dal cinema al teatro, dalla tv alla pubblicità, dalle accademie ai grandi giornali, dalle istituzioni ai ruoli di potere».
Tradotto in prassi, questa egemonia consiste nell’intoccabilità degli assetti preesistenti perché ciò che fu deciso non può essere toccato, da un lato, e nell’immediata irricevibilità di ciò che decide la Destra ora al governo, dall’altro: come, per esempio, affidare una trasmissione radiofonica a Marcello Foa.
Parliamo di ‘Giù la maschera’, programma che il già Presidente della RAI conduce su Radio Rai1 e che non ha mancato di generare immediate polemiche. Quella che, in qualunque contesto, sarebbe una naturale conseguenza della revisione di nomine e palinsesti a fronte del cambio dei vertici (spoil system), poiché realizzato da una forza politica conservatrice diventa subito squallida ‘lottizzazione’ (parola del ‘guru’ della critica radiotelevisiva Aldo Grasso). E quindi, non è paradossale che ciò che resta dell’egemonia culturale si manifesti in campagne contro chi non è allineato, mostrificandolo (ieri il Generale Vannacci, oggi Foa) e con la richiesta di epurazione ed il complementare effetto intimidatorio proprio su quei governanti (di Destra) che quel ‘mostro’ avevano voluto per contrastare l’egemonia anzidetta.
Oggi le forze partitiche – legate mani e piedi a vincoli di bilancio, trattati internazionali ed alleanze atlantiche varie – hanno compreso che la ‘cultura’ è l’unico fronte dove poter dare una parvenza delle proprie idee e delle differenze tra i vari centro-qualcosa, motivando così gli elettori a seguirli. Ma, come il fenomeno Vannacci insegna, il mondo mainstream sta bruscamente accorgendosi che esiste una profonda contrapposizione tra ‘senso comune’ e politicamente corretto. Senza considerare che oggi quel ‘senso’ è anche maggioranza di governo, i gendarmi del pensiero unico non vogliono dare cittadinanza alle idee diverse. Pluralismo sì, ma solo se conferma le tesi gradite alla sinistra fucsia.

‘Giù la maschera’ di Foa ha il merito di dare voce a questa ‘maggioranza silenziosa’ e all’inquietudine che agita il sonno di milioni di italiani, stanchi di sentire le stesse cose ogni giorno, su ogni canale e dalla bocca di ogni influencer. In modo equilibrato, mettendo a confronto tesi diverse e dando voce ad esperti e voci autorevoli, Foa si è guadagnato in poche puntate già molte critiche che, alla luce di quanto sopra, hanno il sapore di vere e proprie medaglie.
«Persone, fatti, notizie alla ricerca della Verità. Con un unico obiettivo: raggiungere il pubblico, sempre più numeroso, che mostra disaffezione nei confronti sia dei partiti sia della stampa mainstream e riconquistare la sua fiducia». Marcello Foa ha messo le cose in chiaro da subito. E lo fa in modo ‘ostinato e controcorrente’ (esattamente come la sigla tratta da un brano dei ‘The Sun’, che impreziosisce la trasmissione), attraverso una narrazione non ideologica che non cerca la polemica, bensì incoraggia la riflessione e la comprensione della nostra epoca. In questa missione Foa è coadiuvato da ospiti fissi a rotazione (Peter Gomez, Luca Ricolfi, Alessandra Ghisleri, Giorgio Gandola) e non, proponendo ogni giorno un taglio particolare, per rispondere alle domande che i media non soddisfano nella infodemia galoppante. Domande indispensabili per capire il mondo in cui viviamo, così come sono indispensabili le trasmissioni come queste: con buona pace di chi a Viale Mazzini o nel PD ‘rosica’ (…sotto la maschera).
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