Una macchina, due persone e 5mila chilometri di strada: sono questi gli ingredienti di un viaggio straordinario – attraverso la California, l’Arizona, lo Utah e il Nevada – dove la sete di avventura si mescola alla volontà di osservare e comprendere quel controverso pezzo di mondo che più di ogni altro, nell’ultimo secolo, ha contribuito a plasmare l’immaginario collettivo delle genti occidentali. L’America, affascinante e maledetta, ama farsi solcare dagli audaci: lo avevano compreso i pionieri che forgiarono il “mito della frontiera” e ce lo ha ricordato Jack Kerouac, restituendo una profondità narrativa alle immagini delle migliaia di film coi quali – volenti o nolenti – tutti noi siamo cresciuti. Poggiando le suole negli States, del resto, ci si accorge subito che certi cliché non appartengono soltanto all’abile macchina propagandistica di Hollywood: i grandi fuoristrada parcheggiati accanto alle staccionate bianche dei terratetto in legno a due piani; le immancabili tavole calde dove si servono hamburger, pancake ed enormi tazze di pessimo caffè; i campi da basket, da baseball e da football che fanno da sfondo agli scuolabus gialli e ai centri abitati la cui toponomastica, elementare e un po’ stucchevole, è ancora quella dei villaggi del Far West. Ad un primo sguardo, bisogna ammetterlo, l’America è esattamente come te l’aspetti. Prendendoci confidenza, però, qualcosa diventa più complesso…
LE MILLE FRATTURE DI UN CONTINENTE
Strada facendo, si conferma una banale verità: non siamo in un Paese, ma in un vero e proprio continente. Le distanze sono sterminate, i paesaggi cambiano, i fusi orari si rincorrono e la natura è ancora una protagonista assoluta. Questa grandezza, che è indescrivibile a parole, dilata i tempi e rimarca un fatto: esistono molte Americhe, differenti e federate. La prima grande frattura, dunque, è geografica: aridi deserti e fittissimi boschi, grandi canyon e immensi laghi, infinite vallate ed altissime montagne. C’è un mondo tra l’Alaska e le Hawaii, tra l’alce e il coccodrillo, tra la slitta da neve e la tavola da surf. Orizzonti fisici, ma anche storico-culturali: l’eterno discrimine tra il Nord e il Sud, con gli strascichi della guerra di secessione; ma anche la siderale distanza che separa le coste, quelle di Wall Street e della Silicon Valley, da una “terra di mezzo” dove il ranch, il bar e la parrocchia rappresentano ancora il più condiviso orizzonte di senso. Un’eterogeneità che si riflette nelle persone, sulla scorta di una seconda linea di faglia: quella tra mondo rurale e spazio metropolitano. Mezza giornata di macchina – infatti – racchiude due universi paralleli: puoi fare colazione sotto le bandiere arcobaleno della Los Angeles gay-friendly, dove un giovane afro con lo smalto alle unghie sorseggia un frullato eco-solidale, ma cenare a Kingman – una cittadina dell’Arizona che ti accoglie con le bandiere confederate e i ritratti di Trump – accanto ad un tizio dai lunghi baffi che porta la pistola alla cintola, beve whisky e indossa un paio di texani.

Città e campagna: multietnica, progressista e frenetica la prima; omogenea, conservatrice e spartana la seconda. Un’America dalle diverse antropologie, dai diversi valori e dalle diverse abitudini, il cui filo conduttore – oltre all’appartenenza di facciata dell’onnipresente stars and stripes – è quella società dei consumi che proprio qui, col suo rullo compressore, ha inaugurato quella vasta di opera di barbarie che prende il nome di “globalizzazione”. Ne sono un esempio tangibile gli onnipresenti fast food, cifra e modello di un capitalismo che – prima di essere meccanismo economico – ha saputo farsi way of life. Competitività feroce, individualismo sfrenato e tirannia del mercato: l’America – anzitutto – è il “regno della quantità”, patria dello status symbol che si fa dogma, del profitto eretto a parametro dell’esistente, della “corsa all’oro” quale salvifica e illusoria “ricerca della felicità”. È nel ventre molle di questa bestia che dimora la più dolorosa frattura americana, ormai estesa rovinosamente a tutti i popoli che ne abbiano assorbito o amplificato le tendenze: quella tra ricchi e poveri. Tra chi ha il potere di scegliere e chi non può sottrarsi alle scelte del potere. Tra chi può fare tutto e chi non ha più nulla.
LE VILLE DEI DIVI E I BASSIFONDI DEGLI “ZOMBIE”
Beverly Hills ci accoglie alle prime luci del mattino. Ci andiamo appositamente, attraversandola in macchina, per toccare con mano la magnificenza artificiale dello star system americano. Una rapida occhiata è sufficiente: le ville stratosferiche, edificate senza badare a spese, sono precedute da giardini perfetti e aiuole fiorite. Le Lamborghini fiammanti, che si alternano ai grandi Suv, sono perennemente controllate dall’occhio vigile delle onnipresenti telecamere di sorveglianza: il quartiere – infatti – possiede una vigilanza permanente, più simile ad un esercito privato, che controlla ogni centimetro quadrato con solerte attenzione. È un’oasi dell’ostentazione, che unisce la vocazione residenziale all’asfissia psicotica del bunker a cielo aperto: è la plastica contraddizione di una “società aperta” che – per illudersi di essere tale – ha bisogno di blindare il proprio perimetro […]
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