L’ESSENZA DELL’EUROPA, OLTRE IL ‘POLITICAMENTE ‘CORRETTO

da Mario Polia

Questi appunti propongono alcuni spunti di riflessione sul significato di ‘politicamente corretto’ iniziando con una domanda di primaria importanza: da chi e in base a quale criterio di giudizio viene deciso ciò che è ‘corretto’ e, come tale, ha diritto a essere trasformato in norma di comportamento, quindi in legge? 
Dalla prospettiva tradizionale, ‘corretto’, dunque ‘giusto’ non è determinato da qualche scuola filosofica, dagli orientamenti e i gusti della massa, dalle mode imperanti proposte ad arte mediante i media e la pubblica istruzione, inculcate sapientemente usando l’efficiente metodo delle ‘finestre di Overton’, quindi imposte e diventate legge. ‘Corretto’, dunque ‘giusto’ è unicamente ciò che è conforme a verità.

E ciò che è vero, giusto, quindi degno di rispetto e obbedienza, non è stabilito dall’iniziativa e dall’estro del singolo, o dai disegni dei politici, ma dalla Legge di Dio. Questo è stato il criterio di giudizio, questa la fede della nostra Europa fin da quando, a Roma, il diritto, lo ius, conservava la sua conformità al Fas, alla Parola del Padre degli dèi. Criterio rimasto sostanzialmente immutato, pur mutando la natura della Fonte, nei secoli dell’Europa cristiana.

‘Politicamente corretto’ è un’espressione ambigua che si presta a essere interpretata nel senso che la ‘correttezza’ non è un valore assoluto ma riguarda quanto la politica giudica corretto. In realtà, ciò risulta solo parzialmente vero in quanto, ormai, è la finanza a determinare il corso e le scelte della politica, a prescindere dalle aspettative del popolo e dalla storia e vocazione della nazione. Per le élite che governano la finanza, sottratto al dominio della morale, ‘corretto’ è sinonimo di ‘economicamente vantaggioso’. Da questa prospettiva, può risultare corretto devastare l’ecosistema; costringere una nazione alla fame; sfruttare i lavoratori; distruggere le piccole imprese a favore delle multinazionali; aumentare arbitrariamente i costi delle materie prime e delle fonti energetiche; rovesciare i governi non allineati manu militari. Va da sé che ‘non allineate’ risultano tutte quelle nazioni che non accettano il sistema plutocratico dell’Occidente e, ipso facto, entrano nel novero dei potenziali nemici.

Per quanto riguarda il miraggio della felicità che il benessere dovrebbe essere in grado di procurare, l’ideologia del consumismo ritiene ‘politicamente corretto’ inoculare scientificamente il desiderio a possedere sempre di più. Desiderio accompagnato, irrimediabilmente, dall’insanabile insoddisfazione che impedisce di godere di quanto già si possiede ed è bastevole al benessere e alla salute. Irrimediabilmente perché compagna dell’avidità è l’insaziabilità. Il consumo senza misura, alimentato dalla incessante proposta di sempre nuovi prodotti, produce smisurata ricchezza nelle casse di pochi e ansia e angustia in chi non sa vivere se non consumando oltremisura. E si tratta, purtroppo, di un numero che diviene sempre più ingente.

Le tradizioni di Oriente e d’Occidente hanno da sempre insegnato, e insegnano, a non diventare schiavi delle passioni, a esorcizzare la demonia dell’oro, a rifuggire dal culto del potere. Insegnano che la ricchezza non procura se non una effimera, difficile felicità. Nei mercati d’Atene, Socrate contemplava incuriosito la varietà di ricchi prodotti esposti alla vendita, i profumi e le stoffe preziose e dichiarava «Di tutto ciò posso benissimo fare a meno». Parole d’un uomo libero dalla brama di possesso per il quale i valori che rendono degna la vita e piacevole il vivere sono diversi e più alti. Una volta divenuta maestra di vita, è la verità a rendere liberi. E il cammino della verità, insegna Cristo, rifugge da Mammona e ritiene insensato ammassare tesori sulla terra che il ladro ruba e il tarlo distrugge. Il figlio d’un ricco mercante diventa il Poverello d’Assisi e, nel numero dei fratelli che il suo amore abbraccia, include l’intero universo con le sue creature. In India, Gotamo Siddharta, figlio di re ed erede al trono, rinuncia ai beni, al potere e all’orgoglio. Diventa povero tra i poveri per seguire la via del Risveglio e della suprema Liberazione e insegna che la matrice del dolore è l’attaccamento ai beni della terra. A Roma, Orazio si beffava del ricco che, non fidandosi più nemmeno del più fedele dei suoi servi, steso sui sacchi dell’oro, dorme un sonno affannoso che non dà riposo. Lo accusa di aver trasformato la ricchezza in una divinità al punto che reputa sacrilego lo spendere e vive poveramente. I miti del Nord esaltano la figura dell’eroe, come Sigurdhr, che solo dopo aver ucciso il drago signore dell’oro viene iniziato dalla valkyria alla sapienza. In Cina, i maestri del Tao, della sconfinata estensione delle terre insegnano a godere della porzione di terreno che regge i passi del viandante, e della massa delle acque, della quantità che riempie il cavo della mano dell’assetato […]

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