Le origini taciute dell’Unione Europea

da Marco Rossi

Se il trattato di Maastricht è entrato in vigore, più o meno pienamente, nel 1993 occorre però ricordare la situazione politica italiana dell’anno precedente, il 1992, quando il governo italiano ha deciso di firmare il trattato, al fine di rendersi conto della natura assolutamente anomala della situazione reale in cui tale decisivo avvenimento ha potuto realizzarsi. Com’è noto il trattato di Maastricht è stato firmato dal governo italiano il 7 febbraio del 1992: il premier Andreotti, il ministro degli Affari Esteri De Michelis e il ministro del Tesoro Carli in quel giorno misero le loro autorevoli firme su un documento che vincolava l’economia e la finanza europea a meccanismi strettamente neo-liberisti, spianando così la strada ad una trasformazione radicale dell’economia italiana, che sino a quel momento aveva realizzato il proprio grandioso sviluppo – durato quarant’anni – attraverso una positiva collaborazione tra forti aziende di Stato e grandi e piccole aziende private.

Nel Trattato si prevedeva inoltre il progressivo abbandono da parte dello Stato di qualsiasi reale controllo sulla finanza privata e, dunque, si programmava la completa eliminazione delle banche di Stato, che tra l’altro nel nostro Paese controllavano la Banca d’Italia e dunque l’organo principale della politica monetaria nazionale, optando per la completa privatizzazione dell’apparato bancario nazionale. Una resa così assoluta alla logica neoliberista voluta dalla grande finanza internazionale e dal turbo-capitalismo globalista poteva configurarsi solamente nel contesto di una trasformazione radicale degli equilibri geopolitici mondiali: in effetti occorre ricordare che tra il 1989 e il 1991 spariva l’Unione Sovietica, così come il comunismo – come modello politico-sociale ed economico alternativo al capitalismo e alla liberal-democrazia occidentale – perché anche la Cina popolare doveva arrendersi a una progressiva penetrazione del capitalismo occidentale, sebbene nell’ambito di un regime politico comunista.

Se nel dicembre del 1991 l’URSS viene ufficialmente eliminata, nel febbraio 1992 avviene la firma da parte dell’Italia del trattato di Maastricht. Dunque non passano nemmeno due mesi pieni tra le due date e tale vicinanza temporale spiega  l’atteggiamento della classe dirigente italiana, che non fu certo un improvviso rimbambimento generale: se infatti Carli aveva da sempre sostenuto le posizioni del grande capitalismo globalista e della grande finanza internazionale – egli è ancora oggi è considerato un ‘padre’ dell’Italia globalizzata, con tanto di fondazione a lui intitolata per promuovere gli stessi ‘ideali’ – e, dunque, non può sorprendere la sua firma, discorso ben diverso deve essere fatto per il governo italiano, in particolare per Andreotti e per De Michelis. Andreotti è stato uno dei più abili ed esperti uomini politici della Democrazia Cristiana, sicuramente uno dei grandi protagonisti dell’Italia keynesiana che dalla costituente a quel 1992 aveva contribuito a costruire il grande boom economico degli anni ‘50-60-’70, accompagnando la crescita politica ed economica anche negli anni ‘80 assieme al leader socialista Bettino Craxi, mentre De Michelis era uno degli uomini di fiducia di Craxi, socialista e uno dei più moderni esponenti del cd. ‘pentapartito’, la coalizione che aveva guidato il nostro Paese dal 1980 a quell’anno. Ora, è assolutamente impossibile che tali personalità politiche non fossero consapevoli di quello che significava per l’Italia la firma del trattato di Maastricht, ossia la completa distruzione di tutti gli equilibri politici nazionali e, soprattutto, la distruzione radicale del modello di sviluppo economico nazionale, costituito da una forte componente statale (si parla del 40% dell’economia nazionale tra IRI e banche statali) e da una formidabile componente privata (di tutte le dimensioni) che aveva fatto dell’Italia la quarta potenza economica del mondo. Eppure col trattato di Maastricht il governo italiano si impegnava a svendere tutta l’industria di Stato e a privatizzare tutte le banche controllate dallo Stato facendo precipitare l’economia del Paese nell’ambito del turbo-capitalismo liberista senza regole e protezioni, accettando anche una moneta ‘estera’, l’Euro, gestita da una banca centrale privata, la BCE, e mantenendo, per assurdo, i debiti pubblici separati tra le nazioni […]

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