Un tempo si diceva che il calcio fosse “metafora della vita” ed un “linguaggio con i suoi poeti e prosatori”: bei tempi quelli! Chissà invece cosa direbbero, rispettivamente, Jean Paul Sartre e Pier Paolo Pasolini, di fronte al triste e grottesco spettacolo offertoci dal calcio moderno. Sempre meno sport e sempre più business, sempre meno amore e sempre più denaro. Inevitabile rappresentazione della realtà in cui viviamo: specchio fedele del declino sociale e della decadenza morale che ci accerchia e circonda, come fosse acqua torbida e melmosa. Il calcio che vediamo oggi non è che la brutta, bruttissima copia del sogno che vivevano i ragazzini sfortunati delle favelas brasiliane o i giovanotti delle nostre periferie: lì c’erano speranza, sudore, poesia. La prospettiva di un futuro, la possibilità di un riscatto. Potevamo ancora appassionarci alle storie, ancorarci agli occhi commossi di chi nutriva sentita gratitudine per un’opportunità capace di stravolgergli la vita. Oggi, quegli sguardi traboccanti di gioia lasciano sempre più posto ad occhi persi, spenti. O, peggio ancora, pieni di lacrime fatte di vergogna e vigliaccheria. Così, pian piano, il calcio ha tradito la nostra fiducia, ci ha delusi. Quel calcio che forse è più vittima che carnefice, ma che si macchia dell’imperdonabile colpa di essersi fatto irretire, ingannare: i soldi ingordi, gli eccessi estremi, i giochi sporchi. E allora, una domanda fra tante ci sorge spontanea: è scaduto il contratto dei tifosi? E, ancora, è davvero finito il nostro “sogno del pallone”? Una cosa è certa: vorremmo poter rivedere il Nino di cui cantava De Gregori. Tifare per le sue “scarpette di gomma dura” e per il suo “cuore pieno di paura”.
MA COSA STA SUCCEDENDO?
Non stiamo più discutendo del calcio giocato ma delle partite truccate: “Sì, ok la classifica…ma hai sentito dell’ultima combine?”. Lo spazio per il nostro cuore romantico è sempre più risicato e nostalgico. Così, ci viene il magone quando rivediamo il Milan di Baresi, la Roma di Totti. L’Inter di Zanetti e la Juve di Del Piero. Siamo passati dalle Bandiere, alla Maldini, alle bandieruole, vedi CR7. Da una manciata di giorni e nelle ultime ore, non si parla d’altro se non di indagini. E scommesse: Fagioli, Tonali e Zaniolo i principali marcatori di questa bruttissima partita. Intercettazioni, chat, rimpallo di responsabilità: se ne sta occupando la Procura di Torino e chissà quante ancora ne dovremo sentire…
“Lo fanno anche gli altri”, ha detto Nicolò Fagioli, quasi a volersi discolpare. Si scommette “per vincere la noia”, aggiungono altri. E già da queste due dichiarazioni, assimilabili fra loro, possiamo ricavare interessanti riflessioni. La prima riguarda il percorso di crescita accelerato cui vengono sottoposti i giocatori (ma, più in generale, i giovani d’oggi). Poi c’è l’elemento della noia, di quel vuoto che non si sa come colmare: sempre più vizi, sempre meno virtù. Infine, come osserva il Dott. Mirco Ossani (Psicologo dello Sport), c’è il cosiddetto condizionamento sociale che gioca un ruolo dominante: quell’influenza dall’esterno che, nei casi più estremi ma non infrequenti, sfocia in conformismo, paura del giudizio e timore di non essere accettati. Ecco spiegato quel tanto “lo fanno anche gli altri” pronunciato dal giovane centrocampista juventino: l’omologazione come unica via per (soprav)vivere. “Provo un malessere, un senso di disagio – dichiara un’icona del bel calcio nostrano, Roberto Roby Baggio – “il vero sconfitto di questa squallida, brutta storia è il tifoso”. Già, il tifoso che investe in biglietti, affronta trasferte e paga abbonamenti. Di contro, c’è la bella promessa che, nonostante il ruolo di prestigio ed il lauto stipendio, scommette illegalmente per chissà quale prurito esistenziale: un danno e una beffa, al contempo. Anche Mister Sarri non le manda certo a dire, figlio di una generazione ben lontana rispetto a quella dei “ragazzini annoiati e tristi”: “Il calcio ormai è solo business. In dieci anni rischia di finire”. Maradona diceva sempre che “il calcio non si sporca”: noi, invece “lo abbiamo sporcato e continuiamo a sporcarlo”, dice ancora il Divin Codino. Perché il vero sconfitto è l’amore per questo sport. Che non è più un gioco ma una malattia: e allora, da “popolo di allenatori” ci stiamo (nostro malgrado) trasformando in una equipe fatta di psicologi. E analisti, dei (dis)agi contemporanei.

UN “NUOVO” MALE: LA LUDOPATIA
Adesso c’è un nuovo male da combattere, tanto celato quanto pericoloso, come tutte le cose che non vediamo ma che ci fanno penare. In realtà la ludopatia non nasce oggi col vizietto di Sandro Tonali (che ha apertamente dichiarato di soffrirne), ma è un disturbo che esiste e persiste. Il DGA (Disturbo da Gioco d’Azzardo) è una dipendenza esattamente come le altre: non distrugge il corpo come fa la cocaina, ma abbindola la mente, indebolendo anche lo spirito. Il giocatore del Newcastle ex Milan, Sandro Tonali appunto, presenta un certificato medico che ne attesta l’afflizione. La linea difensiva impostata dai legali punta sulla collaborazione dello stesso, sperando così di ottenere un “sostanzioso sconto sull’inevitabile squalifica”. Ma a quanto risulta, il calciatore soffre da tempo: avrebbe scommesso non solo sulle partite del Milan, ma anche su quelle del Brescia (violando già all’epoca il regolamento). Tonali ha iniziato un percorso di cura esattamente come fatto da Fagioli: anzi, quest’ultimo si è anche affidato ad un tutor, capace di monitorare e gestire il suo “delicato” conto corrente. A tal proposito si è espresso il grande Zdenek Zeman: “E’ una brutta cosa…si dice sia una malattia ma non credo siano tutti malati, perché i malati veri di solito stanno da un’altra parte”. Un concentrato di saggezza e sana critica, mossa da chi di calcio e vita “qualcosina” ne sa. E mentre i primi due indiziati ammettono debolezze e colpe, il terzo nome (l’altro Nicolò, Zaniolo), nega e parla solo di “poker e black jack”. Peccato che nelle ultime ore stiano emergendo prove tanto imbarazzanti, quanto schiaccianti: una marea di chat con moltissimi altri giocatori, anche Azzurri. Si profila quindi un eventuale giro criminale, fatto di omertà e compiacenza. Una macchia d’olio che non solo rischia di allargarsi, ma che risulta sempre più difficile da contrastare e ripulire.
I PRECEDENTI ILLUSTRI
Certo non siamo nuovi a questi scandali: il calcio non è mai stato “sempre pulito” e gli imbarazzi, negli anni, non sono mancati. Solo che prima il sistema era meno corrotto e le pecore nere erano di gran lunga inferiori rispetto alle mosche bianche. Del resto, i tempi di Sandro Ciotti e Bruno Pizzul, Giampiero Galeazzi e Maurizio Mosca avevano un profumo diverso ed un sapore più buono. Ma i problemi e le interferenze “altre”, contro bellezza ed essenza del calcio, risalgono al lontano 1980: si chiamava “Totonero”, si leggeva “primo grande scandalo”. Stagione 1979/80, serie A e serie B. Coinvolti Lazio, Milan, Perugia, Avellino, Bologna. E poi Taranto e Palermo. Era l’epoca di 90esimo minuto, tempi ben diversi come detto. Peggio andò per i rossoneri: imbarazzante retrocessione in serie B, motivo di scherno immortale da parte dei “cugini” nerazzurri. Stessa sorte per la Lazio, in appello, mentre per le altre società “solo” penalizzazioni. Finita qui? Beh, no: nel 1986 arriva “Totonero BIS”. Intercettazioni telefoniche di Armando Carbone rivelano un’altra rete criminale: coinvolta anche la C2 (ora Lega Pro). Bari, Udinese, Napoli e poi Brescia, Monza, Empoli. E di nuovo Palermo ed altre società. Penalizzazioni, esclusioni e ripescaggi di Benevento, Pescara e Montevarchi. Le prime crepe nel calcio, quindi, prima che diventassero crateri, radicati e profondi.
TI RICORDI DI CALCIOPOLI?
E’ il 2006. Cambia il nome, cambiano gli interpreti: il modus operandi si fa più sottile e raffinato, ma pur sempre deplorevole e illegale. Diversi i filoni d’inchiesta: nel primo, le squadre condannate dalla giustizia sportiva sono Juve, Fiorentina, Milan, Lazio (più Arezzo e Reggina, nel cosiddetto secondo filone). Stagione 2010/2011: altre indagini e grandi nomi emergono dalle prime intercettazioni. Dal 2005 già si parla di Pierluigi Pairetto, Luciano Moggi, Antonio Giraudo, Innocenzo Mazzini (allora Vicepresidente FIGC). Una pioggia di dimissioni, mass media impazziti, deferimenti e dichiarazioni roboanti. Ci sono le inevitabili penalizzazioni inflitte a Juventus, Milan, Lazio e Fiorentina: l’Inter diventa prima in classifica, dopo le sanzioni comminate. I nerazzurri, così, si aggiudicano il titolo di campioni d’Italia 2005/2006. Ma il vero protagonista resta lui: Luciano “mi avete ucciso l’anima” Moggi. Si aggiungono altre intercettazioni e, stavolta, troviamo anche i nomi di massimi dirigenti: Giacinto Facchetti e Massimo Moratti, ovviamente casa Inter. Le conseguenze di Calciopoli saranno la retrocessione della Juve in B (prima nella storia del club), 30 punti di penalizzazione per il Milan, 15 per la Fiorentina, partenza a -11 (poi diventata -3 dopo la sentenza CONI) per la Lazio, altri punti di penalizzazione per Reggina (11) e Arezzo (6). Anche stavolta, non finisce qui: ci sarà il bis e nel terzo filone d’indagini spunta il nome caldissimo di Gianluigi Gigi Buffon. I verdetti di Cassazione arrivano nel 2015: si consolida il protagonismo “malato” di Luciano Moggi (ideatore di un sistema illecito di condizionamenti nelle gare del campionato 2004/2005 e non solo di esse). E da qui, il famoso “Mi hanno ucciso l’anima”: lui, invece, ci ha strappato un sogno.

ALTRO GIRO, ALTRA CORSA
2011, Scommessopoli. Ormai gli artigli velenosi di chi usa e abusa del calcio agiscono in maniera sempre più radicata e complessa: non possiamo più definirlo “scandalo occasionale” ma “realtà consolidata”. Una realtà certo non ammissibile né giustificabile: le società coinvolte stavolta sono 18 e, amaramente, figura anche il Legnano calcio. Ma troviamo anche Atalanta, Chievo, Virtus Entella, Ascoli, Sassuolo. E ancora, nomi illustri: 26 i tesserati implicati, incluso Beppe Signori (poi assolto dopo “10 anni d’inferno”) e Stefano Bettarini (assolto anche lui). Il 1° giugno 2011 si aprono le indagini della Procura di Cremona. Spicca fra tutti il nome di Cristiano Doni (per lui, anche l’accusa di tentato inquinamento delle prove). Una mannaia di squalifiche: da illecito sportivo a violazione del divieto di scommettere per i tesserati. Un anno dopo, nuova ondata di provvedimenti restrittivi. E altri nomi, più o meno illustri: Andrea Ranocchia, Leonardo Bonucci, Domenico Criscito, Rodrigo Palacio. Le accuse sono di associazione a delinquere finalizzata alla truffa e alla frode sportiva. Le indagini terminano nel 2015, il 9 febbraio: vengono formulate le accuse per ben 130 indagati. Nel 2016, arrivano delle assoluzioni, mentre a Legnano (calcisticamente già colpita da disgrazie societarie), l’ex calciatore Carlo Gervasoni (poi radiato) parla di “partite truccate” e ammette di aver corrotto “60 giocatori”, aggiungendo che per lui fosse stato più facile “corrompere gli italiani piuttosto che gli stranieri”. Una vicenda triste e amara, che ha fatto leva sulle difficoltà (stavolta oggettive) di ragazzi che da mesi non percepivano lo stipendio e che erano persino costretti a fare la doccia nello spogliatoio dello stadio Mari (perché, nelle abitazioni offerte dalla società, non venivano più pagate neppure le utenze). L’altra faccia del calcio non blasonato: fatto di incertezze, ulteriori rischi e precarietà.
IL CALCIO COME SPECCHIO
Un riflesso neppure troppo distorto: il mondo del calcio rispecchia lo smarrimento valoriale, la fine di un sogno che aleggia sulle teste dei giorni nostri. E poi, ci sono loro: i calciatori, che sono sempre meno atleti e sempre più personaggi patinati e influencers prezzolati. Loro, che prima sognavano glorie e trofei in Italia ed Europa, mentre ora rincorrono il luccichio farlocco ed il lusso ingannevole in Arabia Saudita e dintorni. Si chiuda pure un occhio per i più veterani, a fine carriera proiettati verso il viale dell’inesorabile tramonto: ma non si chiuda anche l’altro, di occhio, per i giovani potenzialmente “di belle speranze”. Loro, che più che di fama vivono con fame: di soldi, di vizi, di sfarzi. Rappresentazione plastica del vuoto che divide et impera: riempito non da sani contenuti ma con surrogati di finta felicità. Questa è la generazione degli “IN”: infelici, insoddisfatti, indolenti, indifferenti. Calciatori e non: “tutti” accomunati non più da sogni forti ma da deboli bassezze. Per il triplice fischio è ancora troppo presto. E allora, che fare? Non smettiamo di scaldarci e non torniamo, seduti, in panchina. Continuiamo invece ad impegnarci, a sognare. E a giocare: ma senza trucchi né combine.
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