Siamo europei e lo siamo sempre stati.
Dal momento che abbiamo una visione del mondo fondata su una prospettiva sacrale e, conseguentemente, organica e identitaria, non possiamo non aspirare a un’ecumene europeo capace di integrare ogni singola nazione in un ordine più ampio, al di là dei rispettivi e parziali particolarismi. Ordine, prima ancora che politico e figuriamoci se esclusivamente economico, è eminentemente spirituale, dato che, solo fondandosi e legittimandosi attraverso un’Idea e una Tradizione, è possibile affermare un principio centrale di autorità e sovranità al là di qualsiasi ideologia, ove l’elemento parziale concorre alla composizione dell’unità universale. E per citare Julius Evola, “allora si avrebbe l‘Imperium, l’unità organica e virile europea libera davvero da tutte le ideologie livellatrici, liberalistiche, democratiche, scioviniste, collettivistiche”.
Ab origine è stata Roma e la sua visione imperiale, successivamente il medioevo e il Sacro Romano Impero, testimonianze di quell’unità ideale che oggi, realisticamente, è fuori portata. Sia chiaro, fuori portata in termini di prassi politica, dato che l’anima, l’essenza, i principi, sono l’espressione di un modo d’essere vivo, attuale ed assolutamente indispensabile, anche in prospettiva futura. Infatti, se ciò che unificava il primo impero d’Europa era il rispetto del mos maiorum e il riconoscimento dei valori – su tutti, la pietas e la fides – ciò significa che per fare l’Europa andrebbero fatti prima gli europei. In altri termini, un’unità superiore è concepibile sulla base di una forza formatrice proveniente dall’interno e capace di sublimare, dall’alto di una comune idea, cultura e tradizione, ogni singolo particolarismo. Superando anche i nazionalismi, quale assolutizzazione demagogica del particolare, che nulla c’entrano col rispetto e la tutela delle identità nazionali, queste ultime associabili alle patrie da difendere e valorizzare.

In linea di principio, quindi, soluzioni quali federazioni, unioni economiche, coalizioni di vario genere, sono destinate al fallimento, dal momento che non hanno nulla di organico – organicità derivante solo dal riconoscimento del superiore e spirituale elemento comune, l’Idea o la Tradizione – ma sono fredde aggregazioni. A maggior ragione, in un ciclo epocale come l’attuale, ove, usando le categorie spengleriane, la Zivilisation del mondo moderno (la c.d. ‘civilizzazione’) ha preso il posto della Kultur (la civiltà), caratterizzandosi a tutti gli effetti come la fase autunnale e crepuscolare di quella che un tempo era l’Europa. E questo, è superfluo ribadirlo, a causa delle distruzioni operate dal materialismo e dal razionalismo, dall’individualismo e dal meccanicismo, dalla ormai indiscussa supremazia della quantità, dell’utile e del profitto, di contro a qualsiasi anelito valoriale e qualitativo, del primato incontrastato dell’economia sulla vera politica.
Non staremo a insistere su questo, limitandoci a sottolineare che oggi l’UE è un coacervo di paesi diversi guidati dai tecnocrati di Bruxelles e uniti solo da una moneta, mostruosa e anonima burocrazia, organizzazione debole e impotente sul piano internazionale, incapace di tutelare i propri interessi in quanto asservita e subalterna alle logiche di oltreoceano – la guerra in Ucraina ha sancito la morte dell’Europa. Un’organizzazione che si fa paladina del ricettacolo dei valori globalisti, attaccando e distruggendo, attraverso il proprio estremismo laicista e illuminista, tutto ciò che è identità e tradizione, ovvero l’anima di popoli che, privati di memoria, radici, appartenenza, cultura, spirito di lotta e sacrificio, si riducono a masse informi all’interno di una società, senza frontiere e sovranità, soverchiata dalla dittatura finanziaria. Alla fine, dunque, il progetto UE non ha tardato a palesarsi per quello che effettivamente è: lo strumento funzionale per la costruzione dello spazio globalizzato tanto caro alle élite mondialiste. Pertanto, osservando l’attuale scenario, scordiamoci di quanto affermava Nietzsche, dal momento che “l’Europa, una volontà unica, formidabile, capace di perseguire uno scopo per migliaia di anni”, non c’è più.
Che fare, quindi? Dal punto di vista politico lo scenario è alquanto complesso, vista la camicia di forza dell’euro e dei vari trattati coi relativi obblighi e parametri o, ad esempio, il terrorismo finanziario delle agenzie di rating – l’ultimo governo Berlusconi ne sa qualcosa… Tuttavia, partendo dal nostro Paese, non è del tutto impossibile provare a risalire la china, purché si abbia la forza, con intelligenza e lucidità strategica, di recuperare il terreno perso che, nel corso degli ultimi trent’anni, ci ha messo fuorigioco, ripartendo da quel che abbiamo subito e operando una ricostruzione. Onestamente, dubitiamo che il progetto europeista e i suoi fanatici esecutori concedano spazi al cambiamento, ma qualora ciò fosse possibile, la ripartenza non potrebbe prescindere – e lo diciamo citando qualche esempio – da una classe dirigente capace di garantire ogni forma di sovranità, di far valere gli interessi nostrani attraverso un riposizionamento sul piano internazionale, nella consapevolezza del ruolo fondamentale di Roma al centro del Mediterraneo, di interrompere il totale appiattamento sulle posizioni dell’alleanza atlantica, in considerazione dei nuovi scenari multipolari. E, sul piano interno, tutelando il sistema industriale attraverso il recupero del ruolo dello Stato nei settori strategici, rivitalizzando un sistema commerciale nei decenni saccheggiato dalle privatizzazioni – utilizzate in nome del dogma del ‘debito sostenibile’ –, realizzando politiche del lavoro eque e non più soggetto alle selvagge regole del libero mercato e dello sfruttamento dell’immigrazione di massa, riponendo al centro il tema della giustizia sociale e dei correlati diritti, da non confondere coi tanto in voga diritti civili.
Ipotesi riferibili ad operazioni che, sul piano politico, economico e sociale, sono difficili, importanti e di medio-lungo periodo, proprie a una visione d’insieme la cui prospettiva dovrebbe essere italiana ed europea allo stesso tempo. Ipotesi, e lo ribadiamo con forza e convinzione, la cui vita sarebbe di breve durata allorché, a monte, manchi l’imprescindibile capacità di sintesi data dalla consapevolezza che l’Europa, per essere veramente unita, deve superare le artificiose e artificiali costruzioni introdotte a partire dal XX secolo e riscoprire la visione sacrale propria alla Kultur, l’unica in grado di consentire di lottare in funzione dell’Idea, in vista di un comune obiettivo. Non c’è futuro senza radici e, pertanto, qualsiasi azione di ricostruzione politica dell’Italia e dell’Europa non può prescindere dalla assoluta centralità dei valori autenticamente europei, quali l’aretè greca e la virtus romana, o dal nobile esempio del cavaliere o dall’assoluta abnegazione del soldato del fronte: lo spartano delle Termopili, il legionario romano, il cavaliere templare, il soldato del Sacro Romano Impero, il combattente del sangue contro l’oro, non hanno nulla di retorico ma rappresentano veri e propri punti di riferimento per restare in piedi tra le rovine della Zivilisation del mondo contemporaneo e, soprattutto, per conferire linfa alle comuni radici europee. Radici di un’Europa attualmente perduta ma per la quale, come ci ha testimoniato Adriano Romualdi, è doveroso continuare a lottare: “Oggi, sull’orizzonte dell’Europa, è solstizio d’inverno, un interminabile inverno di servitù e di vergogna. Ma noi crediamo, noi vogliamo credere all’imminente resurrezione della luce”.
Siamo europei e lo continueremo ad essere.