Donne contro uomini. No, non è un derby e neppure una pellicola politicamente scorretta o dal titolo irriverente: quella della violenza al femminile è una realtà tanto radicata quanto taciuta. Del resto, come negare la piaga dei femminicidi? Impossibile, inimmaginabile, ingiusto. Da maggio fino ad oggi, la cronaca ci ha travolti con una drammatica successione di omicidi efferati e violenze crudeli: la donna come vittima ideale ed effettiva. Un problema enorme che affonda radici un po’ nella scarsissima educazione sessuale ed affettiva, un po’ nella voracità dei rapporti contemporanei, un po’ nelle conclamate patologie mentali dei carnefici.
Le cause sono tante, aggrovigliate come quei fili estratti dalla borsa o da un taschino: provi a scioglierne i nodi e, puntualmente, non ci riesci. Ma il punto è un altro. La percentuale elevatissima di donne uccise dal proprio uomo, non viene delegittimata o sminuita se affrontiamo il tema della violenza perpetrata ai danni degli uomini. Ebbene sì: anche coloro che l’immaginario collettivo ha dipinto come “i carnefici”, appiccicando la semplicistica etichetta di “pericolosi e violenti”, subiscono la furia del cosiddetto “gentil sesso”. Che spesso, di gentile, ha ben poco: la donna è veramente l’anello debole, la componente della coppia che merita maggior protezione? Non quando esercita violenza fisica ma soprattutto psicologica nei confronti del fidanzato, marito o ex. Cosa che, a differenza di quanto vogliano far credere, accade molto, troppo spesso.
MISANDRIA: COS’E’ E PERCHE’ NON SE NE PARLA
Partiamo dall’etimologia: mìsos (odio), andròs (uomo). Ed ecco fatto: “misandria” ovvero l’odio verso l’uomo. Semplice, logico eppure impronunciabile. Vi è mai capitato di sentirne parlare? Personalmente, ben poche volte. Pochissime, se facciamo riferimento a giornali e tg. Due casi eclatanti sono sì balzati agli “orrori della cronaca”: quello di William Pezzulo, primo uomo in Italia ad essere stato sfregiato con l’acido dalla ex, Elena Perotti insieme ad un complice (ben 45 interventi per il povero William ed il suo volto martoriato) e quello del legnanese Giuseppe Morgante, vittima anche lui della ex, tale Sara Del Mastro. Altro volto sfigurato, altro uomo aggredito e umiliato nel corpo e nell’anima da una donna a dir poco diabolica. Certo, questi sono casi estremi ma non isolati. C’è una vasta e triste gamma ascrivibile alla categoria “forme di violenza”: fisica (meno frequente), psicologica (molto frequente), economica (frequentissima, specie in presenza di figli). I dati Istat parlano chiaro: da una ricerca datata 2018, nel periodo 2015/2016 sono stati 3 milioni 754 mila gli uomini aggrediti. Di contro, ben il 95% delle denunce fatte da donne, si rivelano false: ma vengono, aprioristicamente, prese per vere. Tanti i casi di violenza domestica (quella che viene descritta come la tipica dinamica che vede la donna/moglie perseguitata dall’uomo/marito), tantissimi quelli di violenza psicologica e ricatto di matrice economica (in particolare in sede di separazione e divorzio). La figura dell’uomo/vittima non è, quindi, una creatura mitologica ma una innegabile realtà. Lo storytelling dei giorni nostri riferisce di “uomini che usano e abusano delle donne”: lo stesso, però, non ci racconta di quante “donne che odiano gli uomini” si annidino all’interno di famiglie e relazioni disfunzionali o tossiche. Del resto, nel paradigma etologico dominante, la donna è fragile e l’uomo, forte. Peccato che questa “forza” venga erroneamente interpretata come “violenza”: l’uomo è quindi crudele mentre la donna, docile e subordinata alla sua irruenza. Sì, il maschio è dotato di una forza superiore ma non per questo pericolosa. Sì, la femmina è meno nerboruta ma non per ciò, meno incline all’aggressione (anche fisica). La donna diabolica lancia oggetti, rompe piatti. Tira pugni all’uomo/vittima, sferra calci e non disdegna il chiudergli le dita nella porta. Graffia, gli sputa contro: “Dillo pure! Tanto non ti crederà nessuno…”. Ma la più frequente è psicologica: la violenza più subdola e sottile. Altre fonti: Straus 2011, Cortoni et al 2017, Denson et al 2018, Dim e Douglass 2020: secondo gli studi eseguiti dalla Dott.ssa Carla Tortora, in una coppia eterosessuale gli uomini subiscono violenza più spesso rispetto alle donne. Con una notevole discriminante: la paura di non essere creduti. Come anticipato, la narrazione ed i luoghi comuni dettano legge: l’uomo è l’orco cattivo e non può essere la povera vittima. Eppure, che vi si creda oppure no, quella della violenza domestica è una realtà tristemente consolidata, per i fidanzati/mariti (con buona pace delle care femministe).
MISANDRIA E FEMMINISMO: UN’ATTRAZIONE FATALE
Come “base per altezza diviso 2”: stavolta, il risultato non sarà l’area del triangolo, ma il prodotto fatale del femminismo, quando alimenta la misandria. Le teorie strampalate del femminismo radicale sono benzina sul fuoco dell’odio: l’uomo sarebbe “biologicamente inferiore”, meno intelligente e multitasking rispetto alla donna (e “violento per natura”, ça va sans dire!). Il tutto, come sempre, da inquadrare in un’ottica di “oppressione patriarcale”, da combattere in ogni modo e con ogni mezzo. Il femminismo, più che rivendicazione dei diritti delle donne, è oramai sinonimo di “guerra contro gli uomini”. Una guerra pretestuosa, supponente, distruttiva: “Non una di meno, non una di meno!”.
Donne che si coalizzano, unite dallo stesso machiavellico piano: combattere l’uomo, distruggere l’uomo. Ecco allora che entra in gioco l’amica spalleggiatrice: “Mi coalizzo con te contro il fidanzato o marito di turno”. Una assurda e tremenda solidarietà che, invece, vede l’uomo sempre più isolato e deriso: stenta a cercare aiuto, si vergogna di confidare simili soprusi agli amici, subisce il controllo coercitivo della sua aguzzina che lo disincentiva nel ribellarsi. Altri danni del femminismo radicale: la donna sempre più mascolina, sempre più incarognita. La massima espressione di aggressività a tinte rosa: la propensione alla manipolazione e quella insaziabile “fame di vendetta”. Come insegna la scrittrice e attivista Natsuo Kirino…

LA SCRITTRICE GIAPPONESE CHE “UCCIDE I MARITI”
Lo pseudonimo è volutamente maschile. All’anagrafe Mariko Hashioka, Natsuo Kirino ha dell’innegabile talento. Peccato che lo sfrutti in uno dei peggiori, modi possibili: aizzando le donne contro gli uomini. Penna fervente e femminista incallita, la Kirino sbanca il lunario con il libro “Le quattro casalinghe di Tokyo”, pubblicato nel luglio del lontano ’97. Letto anni fa, ha fatto rumore. Ripreso oggi, un baccano agghiacciante. Quattro donne, quattro storie: un ritratto esasperato di un Giappone a trazione patriarcale e queste casalinghe che da cuore del focolare, si trasformano in sanguinose distruttrici dello stesso. Senza spoiler, vi basti questa immagine eloquente: una vasca piena di sangue. Il malvagio e omicida riscatto: da dolce mogliettina a lucida assassina. Scongiurando l’ipotesi emulativa, fa riflettere il successo riscosso e l’elogio alla violenza tanto esibita da Mariko Hashioka, in arte Kirino Natsuo. Le paladine delle femministe, sono donne così.
L’UOMO COME VITTIMA: STORIE DI ORDINARIA FOLLIA
Ordinaria, sì: perché, ogni giorno, tra le mura domestiche e non, si consumano aggressioni, scontri verbali/fisici, violenze. E per chi fatica a immaginare “la moglie che colpisce il marito”, ecco alcune storie. C’è la testimonianza di Tony Hannington, 57 anni. Vittima della ex moglie Tracy: “Enormi sbalzi d’umore”, dichiara Tony. “Se vai dalla polizia, dico che hai iniziato tu”, come riportato dalle pagine del Daily Mail. La storia documentata di Hannington, si allaccia a quella di Huw Jones, di anni 47: l’uomo maltrattato dalla coniuge dopo la nascita del primo figlio. “In tribunale, lei trova più ascolto di me”: Huw è stato colpito al polmone con un pelapatate, stringe i denti finché può, poi finalmente denuncia, liberandosi da una fitta trama di sottomissione psicologica. Tante, tantissime le storie di maltrattamenti subiti dagli uomini: ma in Italia, regna l’omertà. Il maschicidio? Stando all’opinione pubblica, questo fenomeno non esiste, perché la violenza di genere (sostengono loro) è unilaterale. E la ritrosia nei confronti della denuncia, affossa e occulta questa realtà ancora inesplorata. Lo stereotipo dominante impedisce all’uomo (sbagliando) di rivelare le proprie fragilità: il maschio teme per la propria virilità minacciata e, spesso, subisce pur di “onorare” un ruolo assegnatogli (a discapito della propria salute e serenità) . Ma prima del ruolo, c’è la persona. E denunciare non rende vulnerabile, bensì più forte perché si rivendica un bene inestimabile: quello della libertà. La casa, infatti, non è sempre rifugio. Spesso è proprio la trappola. Cinque milioni di uomini, ogni anno, sono vittime dell’ira di fidanzate, mogli, ex. Donne abili nel ricatto, nell’umiliazione e nella distruzione economica dei propri compagni. Non tutte, bene ribadirlo. Ma molte più di quante ne si possano immaginare. Così i figli, diventano “armi di ricatto”, meri “strumenti” per colpire l’uomo/padre. Situazioni altamente tossiche e pericolose, con i piccoli che spesso assistono a litigi e violenze: la percentuale di uomini che denunciano si aggira tra il 25 ed il 40%. Numeri ancora bassi, perché c’è tutto un mondo sommerso che esige coraggio e pretende giustizia.

MAI VERGOGNARSI DI CHIEDERE AIUTO
Esistono centri di ascolto, onlus e iniziative volte ad accogliere ed aiutare queste vittime abbandonate, derise. Esiste per esempio il CAM: Centro di Ascolto Uomini. Associazione onlus nata a Firenze il 7 novembre 2009, dal 2014 presente anche a Ferrara, Nord Sardegna, Roma e Cremona. Colloqui telefonici e un team di psicologi, psichiatri ed educatori: c’è anche l’associazione Ankyra di Milano che opera dal 2013 e aiuta soprattutto uomini/mariti maltrattati. Si tratta la cosiddetta Battered Husband Syndrome: quell’insieme di comportamenti vessatori e cruenti che vedono la donna/moglie carnefice e l’uomo/marito, vittima. Gli atti persecutori minano la sicurezza e tendono ad inficiare la rete sociale del malcapitato: la vittima viene allontanata subdolamente dalla famiglia d’origine. “Sei un fallito, la causa della mia infelicità!”, la frase tipica che ferisce forse più di un fendente. Ma ricordiamoci che chiedere aiuto non è debolezza, bensì un atto di coraggio: per “liberarsi dal male”, bisogna prenderne coscienza. Ed agire.
QUANDO LA COLPA E’ DELLE MAMME
“Patriarcato” risuona nelle nostre orecchie come un’insopportabile litania. E del matriarcato, invece? Non ce ne parla praticamente nessuno. Eppure, il modello familiare che vede la mamma/suocera al centro di ogni dinamica, si rivela spesso disfunzionale e dominante. Una struttura rigida e pericolosa, con i continui affondi invadenti della suocera che prende di mira il genero, pur di difendere a tutti costi la figlia/moglie, immatura e malleabile. Il ruolo della suocera, in questo quadro familiare, emula quello della potente matrigna nei classici Disney: lei decide, lei comanda, lei manovra. Ecco quindi che lo scenario si complica e non poco: la nonna tratterà i nipoti come figli e su di essi cercherà di rivendicare il proprio potere. Caso ben più frequente, quello della figlia/mamma che “usa” e strumentalizza i propri piccoli: “Non te li faccio più vedere”.
SE VUOI CAMBIARE IL MONDO, AMA UN UOMO
C’è la sociologa femminista Lella Palladino che dice: “Gli uomini sono tutti maiali”. Ci sono certo le testimonianze di sofferenza e i vissuti di dolore: anche certi uomini (con la “u” minuscola, s’intende), hanno affinato certe tecniche di manipolazione. Ma questo silenzio, questa indifferenza nei confronti del loro malessere indotto, ci chiama all’ascolto, alla riflessione. Forse, l’uomo è gravato da eccessive responsabilità. Forse si sente investito di un ruolo che gli anestetizza la felicità. Forse, si sente “in dovere” di incassare il colpo, rialzarsi e “fare il proprio lavoro”: anche se questo significa umiliazione, anche se questo significa infelicità. L’uomo non deve immolarsi sempre e comunque: l’uomo, esattamente come la donna, ha diritto ad ascolto, rispetto, amore. Le femministe non prenderanno benissimo le splendide parole di Lauren Wilce: “Se vuoi cambiare il mondo, ama un uomo”:
“Se vuoi cambiare il mondo, ama un uomo. Ma amalo veramente. Scegli colui la cui anima chiama la tua e ti vede chiaramente; che ha il coraggio di avere paura…guardalo negli occhi e vedi i suoi padri e nonni, tutte le guerre e la follia dei loro spiriti che hanno combattuto in qualche tempo lontano, in qualche terra lontana. Guarda i loro dolori e le lotte, i tormenti, i sensi di colpa, senza giudizio. E poi, lascia andare tutto. Conosci il suo fardello ancestrale e sappi che ciò che cerca è sicuro rifugio in te…”.
E’ una poesia, certo. Ma sarà in qualche modo, in qualche caso e forma, una verità. L’amore salva: ma per farvi salvare, dovete scappare da quello che non è giusto per voi. Uomini, abbiate il coraggio di chiedere cure e desiderare amore, appunto: ciò non vi rende fragili o vittime, bensì più forti e felici.
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