La sessualità è un tema preponderante e spesso dibattuto, soprattutto nella società odierna e in molti ambiti, tra i quali, in particolare, la scuola. Sempre più spesso, infatti, negli ultimi anni, nelle scuole di ogni ordine e grado si parla agli studenti di argomenti inerenti l’affettività, la sessualità, il rapporto con il proprio corpo. Temi che, in molti casi, portano a parlare anche della sessualità intesa in modo fluido o nell’ambito di quella che viene chiamata ‘teoria gender’ o ‘gender’.
Sono infatti all’ordine del giorno, purtroppo, i ‘progetti gender’ che – spesso grazie alla complicità di insegnanti, docenti, istituzioni o dirigenti scolastici – fanno arrivare nelle scuole le istanze portate dall’associazionismo e dal mondo LGBTQIA+. Negli ultimi tempi, però, oltre alle iniziative, un’altra realtà si è fatta strada nelle scuole dei nostri figli, soprattutto nei licei, ma non solo. Si tratta della cosiddetta ‘Carriera Alias’.
La ‘carriera alias’ – così come descritta dai suoi fautori – è un profilo alternativo e temporaneo, riservato agli studenti – e in alcuni casi pure ai docenti e al personale – che non si riconoscono nel genere ‘assegnato alla nascita’ – come oggi si usa dire con riferimento al sesso biologico – e che, quindi, intendono vedersi riconosciuto un altro genere: quello percepito. L’identità ‘alias’, dunque, viene certificata, quasi sempre, dall’ente scuola in assenza d’una qualsivoglia verifica medica. E questo è un punto centrale perché nei cosiddetti ‘regolamenti alias’ proposti in tutte le scuole è specificato a chiare lettere che tale ‘carriera’ si può intraprendere senza nessun tipo di certificazione medica che attesti una diagnosi di disforia di genere o un percorso di transizione non solo intrapreso ma anche concluso. Ciò significa che se Tizio si sente Caia, dovrà essere chiamato con questo secondo nome. E guai a chi non si adegua. Tutto questo ci porta a una particolare riflessione, non solo perché l’anno scolastico è da poco terminato, ma soprattutto in vista di ciò che ci dovremo aspettare – e dovremo temere – quando l’estate sarà finita e a settembre i nostri figli saranno di nuovo sui banchi di scuola, di nuovo di fronte a questi progetti e queste istanze.

Tra le criticità, molte, della Carriera Alias, una prima sembra essere nella contraddizione in termini – e in fatti – delle conseguenze a cui arriva. Il nome di elezione, infatti, vale solo in ambito scolastico e non riguarda tutta la vita di una persone che ‘si sente’ qualcos’altro rispetto al suo sesso biologico. Niente ‘alias’, dunque – almeno, fortunatamente, non ancora – nelle attività sportive, associative, di ritrovo con gli amici e il gruppo dei pari. Ѐ dunque concreto e all’ordine del giorno il rischio che una persona non venga riconosciuta come fa la scuola, innescando – in quel caso davvero – un senso di disagio e disallineamento di identità che non verrebbe in questo modo arrestato ma perfino alimentato. Come Pro Vita & Famiglia, l’associazione di cui sono portavoce, abbiamo inoltre denunciato ed evidenziato più volte enormi problematiche di natura sociale e umana per i ragazzi, nonché criticità di natura giuridica. Innanzitutto, infatti, promuovere questo strumento significa rischiare di rafforzare nei minori l’idea malsana di essere ‘nati nel corpo sbagliato’, soprattutto se consideriamo che si tratta di bambini e adolescenti, ovvero periodi della vita dove sono molto presenti incertezze emotive superficiali o influenzate da mode e tendenze del momento. Un’idea, dunque, quella di essere nati in un ‘corpo sbagliato’ che può dunque portare a intraprendere iter, appunto, di transizione da un sesso a un altro, con danni psicofisici e fisici irreversibili, con frequenti casi di pentimento postumo, laddove invece di un incoraggiamento a sentirsi ‘nel corpo sbagliato’ sarebbe stato più opportuno ascoltare e supportare nella chiarificazione un adolescente in una fase delicata della propria vita […]
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