L’amore ai tempi della collera: tra l’arte e l’incapacità di amare oggi

da Chiara Soldani

Tutti ne parlano, scrivono, cantano: da Catullo a Battiato, passando per D’Annunzio fino al signor Mario Rossi. “Che cos’è l’amor?”, si chiedeva Vinicio Capossela. E ce lo chiediamo anche noi. Anzi: non solo l’amore in generale ma “L’amore ai tempi della collera”. Ci perdonerà García Márquez se parafrasiamo il suo romanzo, probabilmente il più iconico del Premio Nobel 1985. Però da “colera” a “collera” il passo è davvero breve. Un passo che ci porta ai giorni nostri (che di “nostro” quasi mai hanno qualcosa). Perché viviamo in una società depredata, arsa da fuochi piromani appiccati dolosamente. Derubata di bellezza e saccheggiata in bontà. Una clessidra capovolta,  dove i granelli del Male sembrano voler prevalere e correre più veloci rispetto a quelli del Bene. Questo è il tempo della violenza (psicologica, verbale, fisica), del consumo (materiale e ancora psicologico, verbale e fisico). Un tempo si diceva che l’inglese fosse la lingua universale: oggi, lo è quella della crudeltà. Del non amore. Della collera, appunto.

QUANDO LE DONNE VENGONO UCCISE

È tanto facile trovare il pretesto per fagocitare il manifesto femminista-progressista. Per aizzarlo contro l’uomo (emblema del Male moderno) e ancor prima, contro il famigerato patriarcato. Il maschio che dunque non rispetta, che usa, che non sa amare. Vero è che la cronaca, specie negli ultimi mesi, ci abbia offerto amarissimi bocconi: Giulia Tramontano, Michelle Causo e tante altre. Ma strumentalizzare queste povere vittime per fini politici o propagandistici, infligge loro un’ulteriore ed evitabile morte. Non solo: ricavarne disamine o sentenze definitive, appare troppo semplicistico e risibile. Del resto, i voli pindarici, sappiamo benissimo come siano andati a finire.

IL CASO TRAMONTANO: TROPPA CONFUSIONE E BEN POCO RISPETTO

Giulia. Quanto ci ha coinvolti la sua vicenda? Davvero tanto. Il ritratto di questa giovane “mamma”, fatto della luce del suo sorriso con la tenerezza della pancia, traboccante di vita. Ma fatto anche di ombre, fitte e tetre: una relazione tossica, un compagno bugiardo e manipolatore ascrivibile alla categoria narcisista patologico. Un “uomo” capace di chiedere l’aborto all’altra, di vittima (più fortunata di Giulia). Capace di portare avanti una relazione controvoglia farcendola di bugie e finte felicità (le vacanze sempre esibite sui social, i tanto fasulli quanto stomachevoli “baby” dedicati alla fidanzata sedotta e già in un certo senso abbandonata). E questo sarebbe bastato, per farci odiare il “fidanzato killer” Alessandro Impagnatiello. Le coltellate vigliacche alla ragazza indifesa ma, soprattutto, quei colpi mortali e mortiferi al piccolo Thiago: suo figlio. Un ossimoro inspiegabile: morire ancor prima di nascere. E come se non bastasse,  per mano di colui che avrebbe dovuto difenderlo. Questa disumana cattiveria elevata all’ennesima potenza, ci ha sconvolti e colpiti: non alle spalle, come accaduto a Thiago e alla sua mamma, ma all’altezza del cuore. Del resto, il concetto di sadismo misto a crudeltà era già stato espresso da Erich Fromm ne “L’arte di amare”: quel gusto di ferire, umiliare, sottomettere e prevalere in maniera sprezzante e malsana. Nulla di nuovo, allora. Bensì la versione degenerata del “The dark side of the moon”, degli inimitabili Pink Floyd: “E se io ti mostro il mio lato oscuro. Mi stringerai a te comunque stanotte? E se ti apro il mio cuore. E ti mostro il mio lato debole. Cosa faresti?”.

Ma Impagnatiello era troppo concentrato sul proprio Ego, per porsi il benché minimo scrupolo, interrogativo. Come lo chiamate, voi, uno che inventa vite parallele e ordisce una trama fatta di accuratissime bugie, che uccide la fidanzata ed il figlio che porta in grembo? Beh, uno str*nzo! Ma ancor prima, un malato di mente. Quindi cosa c’entra scomodare la “famiglia tradizionale”, lo stereotipo dell’uomo “bianco, maschilista e cattivo”? Ma, soprattutto, perché mai sporcare di sangue qualcosa di sacro come l’amore?  Giusto interrogarsi. Meno, molto meno, ricavare morali o ricettine per una coppia sana e felice, speculando su morte, distruzione e psicopatia. Stavolta, la famiglia non c’entra proprio nulla: la responsabilità prima, va attribuita ai singoli.  Punto.

“FAMIGLIA TRADIZIONALE” E AMORE: NON È TUTTO ORO PERCHÉ…

Soprattutto nei casi in cui è il marito, fidanzato o uomo con altro inquadramento affettivo ad uccidere una donna, viene spesso chiamata in causa la  “famiglia tradizionale”. Il rischio però di cadere in assunti dogmatici, in considerazioni più da romanzo che da vita reale è davvero alto. “Famiglia tradizionale” intesa come marito e moglie con prole, non è sinonimo di “perfezione” e felicità. Almeno, non necessariamente. E non perché l’amore non esista più o perché il matrimonio sia un mero contratto: semplicemente perché il matrimonio, prima di essere un “noi” è un “io più te, io con te, io insieme a te”. C’è quindi prima il rapporto tra i due, il loro essere compatibili e, soprattutto, il loro saper costruire-alimentare-preservare. E non perché “sia giusto” ma perché “sì, lo voglio”: perché questo mi fa stare bene, se non possibilmente meglio. Se dunque fra i due il rapporto non è sano, reciproco ed arricchente, di conseguenza non lo sarà il loro matrimonio. Ai moralismi bacchettoni che non sanno fare il calco alla vita, bisognerebbe preferire il lucido realismo. E anche stavolta ci viene in soccorso Fromm, che parla di “sviluppo nevrotico imputabile alla madre disfunzionale”, alla “pericolosità di un carattere materno accentratore” e di “molte madri che falliscono nel loro compito” per un narcisismo prevalente misto a bisogno di controllo. Quindi, il cattivo non è sempre, solo il papà-marito. E se i genitori litigano, si respira dell’attrito, i figli soffrono in casa e nella vita là fuori. Gli uomini (e padri) non sono tutti uguali, esattamente come le donne (e madri) non sono tutte amorevoli e capaci. La “famiglia tradizionale”, quindi, non preserva da un bel niente. Forse, però, ci ripara da non poche critiche. Rito e promesse di qualsivoglia natura, non sono garanzia di amore sano ed eterno: anche perché “Le emozioni non hanno simpatia per l’ordine fisso”. E così per la vita: imprevedibile e mutevole.

SOCIAL E DINTORNI: I GURU DELL’AMORE

Basta bazzicare anche distrattamente Facebook, Instagram o YOUTUBE per imbattersi in qualche video (o meglio “lezione”), su strategie amorose e seduzione. Ebbene sì: il mondo social ci ha regalato pure questi nuovi lavaggi del cervello. Inviti a mentire e consigli su come manipolare. Visualizzazioni con numeri da capogiro, una fiumana di likes e questi maestri che speculano e monetizzano. Scrivono libri, tengono conferenze o addirittura corsi ben costosi.  Il fine giustifica i mezzi: va bene mentire, pur di conquistare. Manipolare per adescare la malcapitata o malcapitato di turno. Va benissimo indossare una maschera o “calcolare quante ore far passare tra un messaggio e l’altro”. Il marketing applicato all’amore, la menzogna come strumento ultimo per conquistare (o meglio truffare) un cuore. Anche questo è “amore ai tempi della collera”: un invito a non essere se stessi neppure in quello che dovrebbe essere il campo del sentimento, della spontaneità, del vero.

RI-PRENDIAMOCI L’AMORE

“Per alcuni istanti si guardarono negli occhi e ciò che era lontano, impossibile, a un tratto diventò vicino, possibile, inevitabile”. Tolstoj aveva ragione. Come l’aveva Catullo col suo “Odi et amo” (dove con “odio” non intendeva violenza bensì struggimento e tormento tipico di un sentimento non addomesticabile). Diceva il vero il maestro Battiato: “Supererò le correnti gravitazionali…perché sei un essere speciale ed io avrò cura di te”. Questo è amore, senza collera però. Non essere un unicum, ma un “io più te” che guardiamo nella stessa direzione pur nelle nostre armonizzate diversità. Che litighiamo e spesso siamo incapaci di comunicare: ma un “io più te” che si rispetta ed ama, appunto. E per davvero. Ma neppure il più grande artista o pensatore sarà mai capace di descrivere l’amore. E forse è giusto così: come puoi imbrigliare in una mera definizione l’immensità della forza più rivoluzionaria del mondo? Perché l’amore ci fa piangere e spesso maledire il giorno in cui lo abbiamo conosciuto, sì. Ma è proprio l’amore che ci fa vivere, sognare, combattere.

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