È possibile affrontare il rilevante tema migratorio con obiettività? Magari in controtendenza rispetto al conformismo della narrazione dominante sia nella cultura politica e accademica, sia nell’informazione? I sostenitori dell’immigrazione per ragioni umanitarie muovono sempre dalla prospettiva di un diritto individuale incondizionato, ma non si confrontano mai nelle loro argomentazioni con le cause che disgregano le comunità e costringono le persone a emigrare. Non esiste cioè un diritto – non meno stringente – a risiedere nei propri luoghi di origine e radicamento, rimuovendo i motivi che generano la drammatica diaspora indotta dalla globalizzazione? Se ci si limita a giustificare l’immigrazione, si rafforzano le cause che la generano, accrescendola patologicamente e irresponsabilmente, sommando sofferenza a sofferenza, inducendo quindi l’insofferenza delle comunità di accoglienza.
Al fine di analizzare concretamente il fenomeno in oggetto, sottraendo quindi le valutazioni ai pregiudizi ideologici, che all’oggi si fanno forti di un vero e proprio dettato retorico nella forma del ‘politicamente corretto’ va eradicata l’ideologia umanitaria, un vero e proprio catechismo morale su cui convergono la ‘sinistra del costume’ e la ‘destra del denaro’. La prima ha perso la ragione sociale per identificarsi nei ‘diritti civili’ delle minoranze; la seconda, identificandosi nella crescita economica del mercato, porta seco ‘l’esercito di riserva del capitale’ – per dirla con Karl Marx – e la delocalizzazione dello sfruttamento schiavile del lavoro.
In tal senso, è necessario problematizzare le condizioni del presente storico, sociale ed economico, a partire dalla globalizzazione. Elogiata unilateralmente dal determinismo progressista, in realtà si dimostra l’esatto contrario delle aspettative: più Popoli e culture si approssimano, meno ci si ospita e gradisce vicendevolmente. Zbigniew Brzezinski già negli anni ‘70 constatava con realismo che il paradosso contemporaneo consiste nel fatto che l’umanità diviene simultaneamente tanto più unificata, quanto più è frammentata: «L’umanità diventa più vicina e unita, mentre le differenze nelle condizioni delle diverse società si allargano. In queste circostanze, la prossimità, invece di promuovere l’unità, origina tensioni, mosse da un nuovo contesto di congestione globale». Invece di affidarsi al realismo, la destra e la sinistra vedono i precari equilibri internazionali attraverso la lente dell’astrazione universalistica. Piuttosto di affrontare un contesto dove la confrontazione internazionale va di pari passo a conflitti montanti e una insicurezza crescente, l’occidentalismo divide grossolanamente il mondo in alleati ‘virtuosi’ (cioè dei subalterni) e avversari ‘malvagi’ (le ‘autocrazie’). L’espulsione della categoria amico-nemico dalla vita pubblica, nonché da quella politica e culturale, è artificiosa e nasce dal tentativo di negare che ogni ordine nasce da un conflitto, il quale va regolato. Affermare che ci vogliamo astrattamente tutti bene, infatti, con l’implicito ricatto della compassione, non è un assunto effettivo, ma un utopismo fondato sull’astrazione dalla realtà prodotto dall’ideologia dei ‘diritti umani’, che paradossalmente ci allontana dalla soluzione dei contrasti nell’effettivo rispetto della dignità della persona e delle collettività.

Per definire il metodo di indagine e quindi distinguere i giudizi dai pregiudizi, occorre partire da lontano – ma in realtà molto da vicino, date le distorsioni e le mistificazioni all’ordine del giorno – considerando come il dibattito sulle ‘migrazioni’ in ambito scientifico e accademico venga comunemente collegato all’origine stessa dell’uomo. Già in questo ambito, dove dovrebbero dominare metodo e razionalità, si palesa l’asserzione ideologica, che presenta la teoria della comune origine dell’umanità nel continente africano e la conseguente deriva migratoria (Out of Africa), come una certezza assodata – quando in realtà è ‘mitologica’ – nonostante la mole crescente di prove empiriche paleoantropologiche, che invece vanno a rafforzare l’altra teoria oggetto di confronto scientifico e culturale, definita Multiregional Continuity Model, secondo la quale l’ominizzazione sarebbe avvenuta in diverse e plurime realtà geografico-continentali e i percorsi migratori seguirebbero non un vettoriale determinismo evoluzionistico, ma un assai complesso insieme di elementi adattativi spazio-temporali, in cui spesso le Popolazioni si sono distinte per circuitazioni e ritorni nei luoghi di sostenibilità e sviluppo antropologico. Tale elementare confronto di idee e teorie, tuttavia, è completamente censurato a qualsiasi livello di usufruizione, trasmissione e diffusione culturale e scientifica. L’ideologia dominante si veste di scienza, ma in realtà impone una lettura ‘confessionale’, ‘superstiziosa’, unilaterale e non rivedibile nelle sue argomentazioni […]
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