Anna Bono si è assunta da anni – in pressoché totale solitudine accademica – un compito tanto arduo quanto meritorio. È noto come, per chi sia posseduto dall’ideologia, quando c’è divaricazione tra gli schemini astratti e la realtà, sia fortissima la tentazione di “cambiare la realtà”: ecco, saggiamente, la professoressa Bono fa il contrario, e cioè rispetta la realtà e smonta le impalcature ideologiche altrui. Lo fa su un tema incandescente, quello dell’immigrazione a proposito del quale ‘FUOCO’ l’ha intervistata.
In questi decenni abbiamo visto un lento e inesorabile degrado delle periferie delle città italiane, divenute veri e propri ‘ghetti’ di grandi comunità di immigrati, a volte impenetrabili dalle stesse istituzioni. È un effetto fisiologico ovvero una precisa strategia per far ricadere sugli ‘ultimi’ le conseguenze negative di un immigrazionismo incontrollato?
Più che di una precisa strategia, parlerei di colpevole incuria. Si è lasciato che affluissero e potessero rimanere in Italia centinaia di migliaia di persone, la maggior parte delle quali non era e non è possibile integrare e assimilare nelle condizioni attuali, italiane, di alta disoccupazione, specie giovanile, e crescente povertà.
Anche chi ottiene protezione internazionale o un permesso di soggiorno, uscito dal SAI (il Sistema di Accoglienza e Integrazione, in cui sono ospitati i richiedenti asilo per un massimo di un anno, se la loro richiesta viene accolta), difficilmente è in condizione di essere indipendente e autonomo grazie a una attività regolare. Molti di loro, quindi, vivono di espedienti, di assistenza, di attività illegali e inevitabilmente contribuiscono al degrado dei centri urbani, un degrado tangibile e insostenibile in certi quartieri in particolare e che si declina in vari modi: chiasso, sporcizia, insicurezza, attività illegali praticate apertamente, formazione di baby gang e altro ancora.
Cosa comporta dover convivere con un’immigrazione che non vuole saperne di integrarsi? Se gli italiani si oppongono a questa dinamica, crede sia derivante da un ‘razzismo’ di sottofondo – come sostiene la sinistra radical chic – ovvero una reazione spontanea a un malessere quotidiano?
È chiaro che il malessere quotidiano di vivere in città mal tenute e insicure provoca insofferenza ed è logico, e anche giusto, che la maggior parte degli italiani reagiscano chiedendo che si rimedi, magari concentrandosi più del dovuto sulle responsabilità degli stranieri irregolari mentre invece purtroppo anche connazionali italiani contribuiscono al degrado dei contesti urbani, perché anch’essi non integrati nella vita sociale ed economica del paese. Anche gli stranieri extracomunitari integrati reagiscono negativamente a situazioni del genere e, anzi, molti di loro sono tra i più fermi e decisi nel protestare, da molto tempo preoccupati delle conseguenze.

Da anni ormai l’Italia è il porto favorito degli scafisti che, soprattutto dal Nord Africa, trasportano a suon di quattrini migliaia di clandestini economici desiderosi di entrare in Europa. Siamo ormai la cantina dell’Unione Europea dove stipare gli immigrati che non servono agli altri Paesi UE?
La questione non è che si tratti di immigrati che non servono agli altri Paesi UE: in effetti, non ‘servono’ a nessuno perché non arrivano rispondendo a specifiche richieste del mercato del lavoro. Sono persone senza documenti e che, nella maggior parte dei casi, chiedono asilo dichiarandosi profughi, per non essere respinti. Italia, Spagna e Grecia sono i Paesi dove sbarcano gli emigranti illegali provenienti dall’Africa e dall’Asia che scelgono di raggiungere l’Europa attraversando il Mediterraneo. La richiesta di riallocare in altri Stati dell’Unione Europea almeno una parte di quelli che chiedono asilo è stata più volte avanzata in sede UE e sempre sostanzialmente respinta, salvo alcune irrilevanti dichiarazioni di disponibilità. Quanto ai Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS), va precisato che non si trovano affatto nelle periferie delle grandi città. I CAS sono centinaia, distribuiti in tutto il territorio nazionale, istituiti in centinaia di comuni grandi e piccoli. La loro funzione è di ospitare i richiedenti asilo in attesa che la loro richiesta sia esaminata e giudicata, cosa che richiede sempre molto tempo – mesi o anni – sia per il numero elevato delle richieste presentate, sia per la difficoltà degli accertamenti necessari a valutare la veridicità di quanto affermato dagli immigrati, sia perché, se una richiesta viene respinta dalla commissione territoriale incaricata di giudicare, il richiedente ha facoltà di ricorrere in Corte di Cassazione e lo fanno praticamente tutti dal momento che possono usufruire del gratuito patrocinio e quindi le spese legali sono sostenute dallo Stato italiano, vale a dire, bisogna ricordarlo, dai cittadini italiani contribuenti […]
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