Le recenti cronache nostrane hanno portato alla ribalta un tema noto, per certi versi ‘fisiologico’ nell’attuale fase storica del mondo occidentale, volutamente sottovalutato dalle classi dirigenti dell’ultimo trentennio: l’Italia è un paese tendenzialmente destinato all’estinzione. Sulla base degli ultimi dati Istat, infatti, dal 2008 in poi il tasso di fecondità è crollato, la famiglia è un modello in crisi e il risultato è un livello di natalità ai minimi storici.
D’altronde, superata la sbornia e l’euforia degli anni ‘80, col tempo la società occidentale ha mostrato tutte le sue gravi contraddizioni, figlie della visione del mondo materialistica fondata sul liberal-capitalismo, per cui il già precario equilibrio che finora aveva sorretto il ‘sistema di cartone’ adesso va in frantumi. Le false promesse degli avidi potenti, preoccupati di imporre un modello unico e globale in grado di far prosperare i loro specifici interessi e disposto a tutto pur di sradicare l’uomo dalle millenarie e naturali forme di appartenenza sociale fondanti la civiltà – famiglia, comunità, Stato, religione, lingua – si stanno rivelando tali. Così, le principali cause della crisi della natalità sono – oltre a un indottrinamento anti-famiglia promosso dalle lobby del gender – gli stipendi bassi e l’eccessivo aumento del costo della vita, l’instabilità e la precarizzazione del lavoro, la mancanza di sostegni pubblici per i costi da affrontare per crescere i figli, la mancanza di servizi per le famiglie diffusi e accessibili a tutti. Ma come, non ci avevano detto che se fossimo stati fideisticamente votati al progresso, la qualità delle nostre vita sarebbe stata migliore? Un po’ come la favoletta, rivelatasi una grandissima presa per i fondelli, per cui «con l’euro lavoreremo un giorno di meno guadagnando come se lavorassimo un giorno di più».

Come è facile immaginare, il tema è colmo di spunti e, anche stavolta, Fuoco intende fornire alcuni elementi di riflessione fuori dal coro e polemicamente scorretti. Non limitandoci ad affrontare solo questo tema, per quanto ampio e complesso, ma collegandoci, in maniera inevitabile, col problema dell’immigrazione. Sì, checché ne dicano benpensanti e manipolatori del pensiero unico, l’immigrazione è un problema, poiché, per il sistema che finora ci ha ingannato, rappresenta uno strumento, un’arma, una soluzione tra le più efficaci e funzionali per la sua prosperazione: scordiamoci che la società del futuro, quella del turbocapitalismo green e resiliente, del pensiero omologato e omologante, delle vite fluide e precarie, delle coscienze annientate, potrà fare a meno dell’immigrato. La sua figura è centrale nel mondo globalizzato, soprattutto in quello occidentale a guida anglosassone, ove mammona ispira pensieri e azioni e tutto ruota attorno al denaro e al consumismo. Semplificando, non c’è nulla di meglio del povero e del precario da sfruttare a basso costo, ‘imponendogli’ il trasferimento in Occidente dal proprio paese d’origine, dopo averlo schiavizzato, depredato, soggiogato dalle politiche colonialiste che, ancora oggi, i democratici Paesi occidentali, convintamente capitalisti e allo stesso tempo antirazzisti, perpetuano in maniera neanche troppo mascherata. Hanno distrutto continenti e tutt’ora destabilizzano scientemente Paesi per imporre il loro sistema di governo politico ed economico, alimentando guerre civili. E costoro, i colonialisti che, per definizione, sono ‘superiori’ in quanto portatori dei valori democratici fondanti le società evolute e progressiste (sic!), sono gli stessi che dinanzi alle legittime preoccupazioni dell’altro povero, quello italiano o europeo, ipocritamente predicano tolleranza e inclusività. Sono gli stessi che elogiano quelle diversità che il loro mondo livellato in funzione dell’utile e del profitto, distrugge, poiché la diversità, quale identità e appartenenza, radici che forniscono linfa vitale all’albero della civiltà, della cultura, dell’etnia, mal si concilia con l’avidità del libero e apolide mercato. La diversità è un sacrosanto valore da tutelare: da essa nascono proficue conoscenze, condivisioni e, soprattutto, solo essa genera il rispetto reciproco. Così, ognuno è consapevole della propria identità ed è parte integrante di una comunità organica ove il vincolo è la fedeltà alla terra dei padri, entità geografica, politica e spirituale, oltre l’aspetto esclusivamente materiale. Al di là della vuota retorica calcistica o di quella spendibile in occasione della festa del 2 giugno.
D’altra parte, non possiamo tacere le gravi colpe di quegli immigrati economici che arrivano in Italia con vestiti firmati e cellulari di ultima generazione, restii a qualsiasi forma di integrazione e rispetto verso i Paesi che saranno ‘obbligati’ ad accoglierli, pronti solo a farsi ingoiare dal modello occidentale per coglierne tutto il male che alimenta.
Dunque, se la soluzione al problema, difficilmente, arriva da chi il problema lo ha creato e dal problema ne trae vantaggio, occorre ragionare in maniera diversa dal riduzionismo di certi approcci stereotipati. E questo ragionamento, considerato l’effetto combinato e tendenzialmente esplosivo scaturente dai fattori quali denatalità e immigrazione, parte da una provocazione: se a ‘estinguersi’ è un contenitore sempre più vuoto, un simulacro di nazione popolata da italioti, ignari e indifferenti a qualsiasi richiamo profondo, ovvero spirituale, culturale e identitario, vittime e carnefici di una società materialista e individualista, incapaci di difendersi e reagire dai continui attacchi all’uomo e alla famiglia, cosa ci sarà da rimpiangere?
Constatato che il processo di decadenza della nostra epoca è a uno stadio molto avanzato, la fase finale porta con sé un’unica via d’uscita, per non soccombere: è necessario edificare cittadelle, comunità, sodalizi, in grado di portare avanti un lavoro a 360° di formazione e educazione della persona, ove quest’ultima non sia il semplice ingranaggio sostituibile e interscambiabile tipico della visione meccanicistica, ma sia la portatrice di una scintilla spirituale che, in forza di tale principio luminoso, ha un proprio volto, una propria identità, proprie qualità e qualificazioni che la rendono parte organica di una comunità. Costruire fortezze legate da una comune visione del mondo che trascende i personalistici interessi e che, con spirito di abnegazione, faccia ‘fronte comune’ sul piano sociale, culturale, economico nel lungo periodo, arando e seminando il terreno senza perdere altro tempo.
In conclusione, di fronte ai processi in atto, l’identità dell’uomo e della donna italiani e europei possono essere difesi, preservati e valorizzati, attraverso una rivoluzione che parta dall’interno, silenziosa e incisiva, costante e inesorabile, in grado di trasformare una semplice prossimità geografica in essenziale fratellanza di civiltà.
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