Se c’è uno slogan onnipresente possiamo dire che, oggigiorno, è proprio quello del fascismo eterno. La creatura evocata artatamente da Umberto Eco, trova già (ma per motivi diversi, opposti) in Giuseppe Prezzolini un eco (scusate il gioco di parole). Ma se nell’opera “Manifesto dei conservatori”, Prezzolini lamentava l’abuso del termine, oggi a distanza di cinquantuno anni dalla prima edizione dell’opera constatiamo che lo scenario è degenerato. Quello che sopravvive è un totem a cui attribuire tutto e il contrario di tutto.
Venendo alla storia recente, anzi recentissima, l’elezione di Giorgia Meloni, per esempio, ha causato una serie di allarmi continui e l’attivazione di una narrazione surreale, corroborata da influencer, star e giornalisti che a vario titolo annunciavano il ritorno del fascismo. Analogamente, si era venuto a creare uno stato di allerta generale con la lettera della preside Annalisa Savino che, dopo i fatti di Firenze, in poche ore aveva fatto il giro del web e che ci ammoniva tutti sul potenziale rischio di un colpo di stato. Peccato che in questi, come in tantissimi altri casi, a parte aver sprecato litri di inchiostro e post allarmistici, di manganelli e fez neanche l’ombra.
Questi sono solo alcuni tra gli episodi recenti sul tema, ma a ben vedere la stampa mainstream ci bombarda ogni giorno circa talepericolo. Perché questa lotta avvolge tutto e tutti, creando una tifoseria da stadio, altro che guelfi e ghibellini.
Eppure, in tutto questo caos nessuno si domanda se il pericolo fascista, cioè di un colpo di stato, è reale oppure se questa è una distopia funzionale all’esercizio del potere da parte di una certa oligarchia… Basterebbe chiedersi infatti, alcune semplici cose: perché c’è sempre il pericolo del fascismo e all’orizzonte non si intravvedono altre possibili minacce? Possibile che tutto si riduca al sempiterno rischio del golpe ad opera di qualche reduce sopravvissuto silente ad 80 anni di regime repubblicano?
Le risposte ci sembrano ovvie. Talmente ovvie che per trovare, invece, tracce di golpe (quello sì, veramente realizzato) basterebbe ricordare quanti milioni di italiani sono stati dall’oggi al domani esclusi dal lavoro e da ogni traccia di vita sociale, comprimendo libertà costituzionali considerate inviolabili. Italiani che non ci risulta essere stati bullizzati e perseguitati da fascisti in camicia nera, bensì travolti (a vario titolo) proprio dai paladini del politicamente corretto che vorrebbero metterci in guardia oggi contro il fascismo eterno. Ne parla diffusamente un saggio acuto e polemico qual è l’ultima opera editoriale di Francesco Borgonovo. Nel suo stile giornalistico diretto, Borgonovo svela in Fascismo infinito (Lindau, 2022) che “il re è nudo” o, per meglio, dire che l’antifascismo vive e prolifera all’ombra di una foglia di fico un fascismo che non esiste (più).
Borgonovo ci accompagna così in un viaggio tra il grottesco ed il patologico dell’antifascismo di professione, dimostrando come questa creatura mitologica (“mitologica” in quanto non esiste, se non come categoria astratta appunto…) è a vario titolo tutto ciò che è “male” per il mainstream. Per cui se si è contrari o critici alla cancel culture allora si è automaticamente razzisti e xenofobi, se si è contro l’utero in affitto si è omofobi e via discorrendo. É il risultato della “reductio ad hitlerum” che crea tifoserie da stadio, dove se non sei allineato e non canti a comando la “Bella ciao” di turno sei già un nemico pubblico e un membro di chissà quale complotto antidemocratico.
A ben vedere, quello che c’è di vero nel pericolo del fascismo eterno è che questo è un mito, funzionale all’ordine dominante. Sappiamo che storicamente, i “miti” (religiosi o laici che fossero) sono stati spesso utilizzati anche in politica come idee-forza per mobilitare e motivare una appartenenza, polarizzare o dividere ed imperare: il saggio di Borgonovo si chiede proprio se non stia avvenendo proprio questo anche in questi anni Venti del Duemila, nascondendo una patologica ossessione per il pericolo nero che ci impedisce di vedere il nuovo regime.

E sembrerebbe proprio così, tanto in quanto questo feticcio è lo strumento perfetto per creare nella mente dell’individuo una paura costante, che corrobori lo schema della cieca obbedienza: vera architrave del potere contemporaneo. É la realizzazione plastica di quel “totalitarismo soft” (dolce) già profetizzato da Alain de Benoist in tempi non sospetti, ed alle cui intuizioni il saggio di Borgonovo, tra gli altri, si ricollega.
Anzi, oseremmo dire di più, aggiungendo alle intuizioni di Borgonovo anche quelle di uno dei massimi filosofi contemporanei e vale a dire Byung-chul Han. Perché lo schiavo perfetto non basta più al sistema, ma serve anche un bravo carceriere: di sé stesso e degli altri. Inconsciamente, l‘uomo contemporaneo diventa il guardiano della sua stessa caverna (digitale), che non vuole far uscire gli altri verso la realtà della luce del sole, esattamente come spiegava Platone con mirabolante capacità profetica sui tempi. E, perciò, siamo certi non servirà molto tempo prima che qualcuno ascriva anche il filosofo ateniese nella sempre più folta schiera del “male assoluto”.
TI E’ PIACIUTO QUESTO ARTICOLO?
ACQUISTA O ABBONATI ALLA RIVISTA: