La diplopia, nel linguaggio medico, significa ‘visione doppia’ e consiste nella percezione di due immagini di un unico oggetto. Ma questo disturbo visivo spiega anche molto bene la malattia di cui soffre il mondo che subiamo ogni giorno, e possiamo coglierla plasticamente in due aspetti: quello dell’identità e quello dell’azione.
La prima di queste ‘visioni doppie’ del mondo contemporaneo, e della comunicazione mainstream che vi corrisponde, riguarda il mondo delle identità.
Queste, oggi, sono sempre più frammentate e inesistenti: guardiamo – per esempio – il linguaggio, primo “contenitore” e medium della (e delle) identità. Gli asterischi, gli infiniti generi e anche l’assoluta vacuità di tutte le possibili determinazioni biologiche, relazionali e culturali lo dimostrano. A ben vedere, le identità personali sono crollate insieme alle relazioni e alla comunità stessa: “l’americanizzazione” (cioè l’omologazione a un modello universalità e fluido) fa in modo di rendere l’identità una nomade perfettamente intercambiabile. Tutto ciò è verificabile osservando le prassi della cultura contemporanea: dalle cose più intangibili – per esempio, ascoltando anche i modi di dire (ormai tutti in inglese) – a quelle più tangibili: osservando il cambiamento del tessuto economico e come chiudono quotidianamente le attività famigliari, con le loro storie, per lasciar spazio a grigie multinazionali.
Gli stessi incontri, quelli che verrebbero definiti ‘meeting’, per il pensiero diffuso – mainstream! – ormai sono incastrati in una spirale totalmente solipsista: siamo nell’era degli individui e delle relazioni fluide, smart, ovvero merce rimpiazzabile, sempre disponibile senza senso e significato, senza orizzonte e senza un fine se non in termini di edonismo. Sullo sfondo, vediamo palesarsi un tipo umano totalmente complementare e funzionale alla cultura contemporanea.

E se da un lato i ‘pennivendoli’ (pardon, i cosiddetti ‘professionisti dell’informazione’ e gli influencer tutti) rappresentano come progresso l’assoluta distruzione di ogni tipo di definizione di giudizio e di identità – con la malcelata voglia di negare ogni legge e la legittimità di ogni tribunale o autorità di sorta – dall’altro abbiamo un’inquisizione mediatica fortissima. Sì, perché se sul piano umano si predica il relativismo assoluto, utile ai consumi e non ai consumatori che ne sono consumanti, dall’altro la nostra cultura sui discorsi politici è inconfutabile. Non esistono opinioni contrarie e alternative, e chiunque osa parlare in modo diverso è automaticamente un eretico. L’abbiamo visto con gli insulti e l’esclusione sociale dei “no-siero”, tenuti nel sistema ma perseguitati e totalmente “bannati” (tanto per usare una categoria cara alla comunicazione odierna) sotto ogni aspetto: da quello lavorativo a quello della reputazione.
Sul piano dell’azione, poi, si coglie una sorta di nuovo dharma collettivo su cui vengono regolate le nostre vite: lo vediamo, molto bene, con le emergenze a senso unico, dove i detentori della verità parlano “in nome” della scienza, sui quali il dibattito è pressoché inesistente. Dalle riforme lacrime e sangue del governo Monti fino all’invio di armi in Ucraina senza considerare la pubblica opinione, la verità è che la politica si è appiattita così tanto che non vive neanche più di opposizioni (es. Berlusconismo e Antiberlusconismo, Destra vs Sinistra, etc.). Si vive, semmai, solo di eterno «antifascismo in assenza di fascismo», e di una presa di posizione unica, continua e sempre incontestabile.
A ben vedere, forse, questo doppio movimento che da un lato decanta la totale anarchia e dall’altro l’assoluta obbedienza tout court è figlio di una coincidentia oppositorum, che riporta a un’unica matrice: l’interesse apolide che è guidato dalla logica del profitto. Infatti, da un lato si canta la libertà autoreferenziale rendendo la persona un individuo senza legami e senza senso, spendibile sul mercato del lavoro e dei consumi; dall’altro, si parla di regole e di discorsi fatti per il bene comune, dove l’uomo impegnerà la sua vita nell’obbedienza più assoluta a diktat assolutamente falsi e anche fallimentari.
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