L’Italia ha oggi bisogno di ritornare alla dimensione del mito e del fantastico. Se infatti percepiamo una crisi teleologica, esistenziale e metafisica, possiamo vedere anche come il nostro tempo è sempre più arido, non solo in termini di futuro ma anche di interpretazioni del presente.
Non c’è da stupirsi di tutto questo: il postmoderno ha rinunciato a qualsiasi lettura metempirica e si è aperto ad un disperato capitalismo semi-anarchico che non soddisfa nessuno se non i grandi speculatori. Ciò che possiamo notare, infatti, è che oggi tutti sembrano soffrire: se teniamo conto di quel che accade, a partire dalle diffuse depressioni degli adolescenti fino al narcisismo coatto che coinvolge la maggior parte degli adulti, ciò che abbiamo di fronte ai nostri occhi è la denuncia palese che la weltanschauung in essere non funziona.
Senza contare il fatto che anche le relazioni sono sempre più complicate e sporadiche: nell’era dell’eterno presente si è perso ogni slancio creativo e in tutto ciò anche la famiglia evapora per dar vita a una semplice società fatta di individui slegati tra loro.
Quello di oggi è un problema filosofico, etico, sociale e culturale che ci parla dei disagi interni che si riflettono anche nelle moderne popstar, come per esempio, tra gli altri, il pantoclasta Blanco, ricco e iracondo, e la “moneyfan” Madame, che inserisce filosoficamente il proprio io sopra ogni cosa. In tutto questo ogni modello superglobalista propone lo stesso identico messaggio che alterna anarchia e depressione. E dobbiamo ammettere che i vip di fronte a noi non sono in grado di rappresentare adeguatamente il mondo se non in termini di desideri egocentrici e di consumismo.
C’è dunque un’asimmetria netta tra il risultato e le aspettative decantate dai neoliberisti nella loro cultura, dove oggi l’essere è sempre più schiacciato dall’avere e dove non si ha nulla a che fare con la grandezza del mito, ovvero con ciò che è in grado di far emergere i tratti più importanti del reale e dell’esistenza, ciò che ci spiega la realtà e che ci da un orientamento. Questi tempi detestano la mitologia, detestano la fantasia, detestano una nuova lettura del possibile.
Ormai non ci sono più le lotte per il giusto, per il bene e per il bello. E non c’è neanche uno sguardo creativo che ci consente di rappresentare l’immanenza oltre la stessa materialità assoluta. L’assenza di eroi, di miti, di leggende e di tempi collegati al nostro, scatena tutto il suo peso anche negli atteggiamenti di vip sempre più sciatti, che non hanno nulla da far scoprire ai ragazzi che li seguono.

L’unica istanza portata avanti, a volte implicita e altre più che esplicita, sembra essere quella di aprire i mercati, le frontiere, le leggi e liberalizzare ogni cosa cavalcando l’onda degli eroi (o presunti tali) del politicamente corretto. Il ritornello è sempre e solo uno: liberalizzare e consumare tutto in saecula saeculorum.
I finti ribelli antisistema al soldo delle multinazionali e dei poteri politici sono anche figure che escludono qualsiasi parola che risulta non conforme al loro dizionario, dal termine sacrificio (che è ormai quasi demonizzato) fino alla parola solidarietà, che ormai pare associata solo agli stupidi. Guardando bene la situazione, emerge anche un altro preoccupante elemento: l’elogio della mediocrità. Anziché, infatti, incitare le persone a scalare le vette dell’esistenza, ci viene spiattellata una società ipersessuata, che corre dietro quasi solo alla “prof” di corsivo o al buffone di turno.
La possibilità di interrompere questa lettura nichilista e masochista del reale mette in crisi il mondo radical chic, dato che qualsiasi elemento di speranza, di bontà e di rettitudine rischia di distruggere questo castello di carta. Per non parlare della possibilità – da loro più che ostacolata – di sorpassare la contingenza temporale tramite il fantastico o il mito: in questo caso, infatti, ci ritroveremmo davanti a un’imbarazzante confronto tra venditori di aria fritta e possibilità di colorare la propria esistenza seguendo quelle storie straordinarie che ci permettono di affrontare l’ordinario e di orientarci nel migliore dei modi.
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