La società contemporanea può vivere solo grazie all’ateismo

da Simone D'Aurelio

I nostri tempi sono caratterizzati dal dominio del neoliberismo e portano con se una particolare filosofia ed una precisa teologia: quella postmoderna, ove si denuncia un ateismo più o meno esplicito. Nella stessa il “cogito cartesiano”, portato alla sua estrema potenza nei giorni nostri, arriva a non considerare più la realtà, i trascendenti ed i risultati dell’esperienza (scientifica razionale e storica), eclissando così il rapporto con l’essere e con Dio.

Ciò che possiamo osservare, infatti, è che il mondo è sempre più distaccato dalla religione e questo risultato, giunto in modo lento e costante, non è dovuto solo all’influenza della tecnica, ma in gran parte è causato da un gioco politico ed economico volto a sradicare il pensiero del sacro nell’uomo.

Le ragioni di una cattiva convivenza, tra neoliberismo, vita postmoderna e religione, le possiamo intravedere chiaramente: Dio è in fondo il primo e l’ultimo tabù, di conseguenza è il vero ostacolo alla sacralizzazione del profano e al trionfo universale del mercato e della finanza.

Tolto di mezzo Lui, si può arrivare a quel mondo utopistico canticchiato da Jhon Lennon nel brano Imagine: senza Dio infatti non ci sarà più nessun limite, nessuna linea rossa che separerà i valori negoziabili da quelli non negoziabili, non ci sarà nessun principio superiore che potrà giustificare l’etica e non ci sarà nessuna Verità. Se essa esiste infatti non può essere ricavata in modo orizzontale (come ha già dimostrato il filosofo Kolakowski lo scorso secolo), non ci sarà mai nessuna giustizia perfetta e neanche una lotta per aspirare a difenderla. Senza Lui non può esistere nessun giudizio parziale potenzialmente affidabile, nessuno può rifarsi al bonum honestum in fondo.

Ma non c’è solo questo. L’ateismo è funzionale al mondo neoliberale per creare il suddito ideale: senza più valori per cui combattere, senza più nessun tabù, senza più nessun principio all’uomo contemporaneo non rimane che svendersi al mondo e diventare un nomade pronto a girare ogni Stato per seguire i mercati.

La negazione di ogni possibilità di trascendenza impostata a priori  genera inoltre anche il consumatore ideale: tolto Dio, infatti, rimane solo l’Io, che brama infiniti desideri da realizzare che si traduce in consumi infiniti. E tutto questo è possibile perché non c’è più nessuna alterità con cui confrontarsi e non c’è nessuna realizzazione extramondana: ne consegue quindi che il compimento dell’uomo avviene hic et nunc in un “sabato del villaggio” di leopardiana memoria. E non ci sarà mai nessun limite al gioco ed ai vari risvolti commerciali.

C’è poi da sottolineare anche che distrutto Dio si distrugge anche l’identità collettiva, dato che il famoso risveglio delle coscienze è perseguibile, pure in modo parziale, solo dove c’è la religione. In assenza di essa, infatti, la stessa etica non riesce a rendere conto di sé in modo totalmente autonomo. Non si potrà inoltre modellare la coscienza su precetti affidabili, perché ogni uomo è immerso nella storia, nella contingenza biologica e in un contesto, quindi anche il sentire comune e il volto di un popolo sono plasmabili e giustificabili su basi extramondane, che regolano l’immanenza tramite la trascendenza.

Tolto Dio, inoltre, non c’è più bisogno di responsabilità, non c’è una meta ultima per noi e non vi sarà mai giudizio. C’è solo il presente, in cui bisogna guadagnare e sperperare. E in fondo nessuno deve rendere conto di ciò che fa. I nostri atteggiamenti rimangono chiusi nell’autodeterminazione e nelle semplici prospettive soggettive, dato che nessuna vera legge sorpassa il tempo e tocca tutti gli uomini. Senza Dio cade l’Indisponibile che da vita a ogni indisponibilità.

Giusto e sbagliato quindi, bene e male, agire e fare, diventeranno solo degli slogan e delle linee da ridisegnare ad uso e consumo, che saranno utilizzati dal politico di turno per convincere la massa a fare questo anziché quello, trasformando i trascendenti in un arma potentissima. Beata escatologia dell’ingenuità.

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