Non passa giorno in cui un’opera storica non venga messo nel mirino della cancel culture, sia essa un libro, una statua o un autore. A farne le spese, stavolta, è stato Roald Dahl reo, secondo i più fervidi sostenitori dell’ideologia woke, di aver utilizzato nelle sue opere termini offensivi quali ad esempio “pazzo”, “grasso” e “brutto”. E’ infatti notizia recente la decisione della casa editrice inglese Puffin Books di censurare i suddetti termini, scatenando polemiche e indignazione da parte dei lettori più affezionati. La motivazione della riferita scelta sarebbe ascrivibile alla volontà di non offendere nessuno, evitando riferimenti potenzialmente lesivi sul genere, sul peso e sull’appartenenza culturale.
Il fenomeno della “cancel culture” in tutte le sue varie forme, beninteso, rispetto all’Italia è assai più presente negli Stati Uniti ed in Gran Bretagna, ove da anni si susseguono episodi di questo genere. Si pensi per esempio al movimento “Black Lives Matter” e alla sua furia iconoclasta, oppure ai movimenti di protesta contro il cambiamento climatico.
In ossequio a quella che è la vena esterofila del nostro Paese, in forza della quale si importano mode, cibi e comportamenti tipici tra gli altri degli States, non si è fatta eccezione nemmeno per questo fenomeno, il quale è da tempo arrivato nella Penisola. Si pensi alla statua imbrattata di Indro Montanelli, alle censure sui libri di Dostoevskij oppure alle strampalate iniziative del movimento “Ultima Generazione” (tra le altre, il blocco di strade ad alto scorrimento).
Questi atti vandalici sono sostanzialmente ascrivibili a due cause. La prima è certamente l’incapacità di contestualizzare gli avvenimenti, dato che si tende a guardare ed interpretare il passato con le leggi, la morale e l’etica odierna, dimenticando che se un avvenimento del passato ci desta indignazione, forse è perché lo stiamo guardando con i pregiudizi che ci derivano dall’oggi. Dimenticando, ancora, che un giorno i posteri potrebbero fare lo stesso con la nostra epoca storica, provando indignazione per i nostri costumi ed abitudini.

La seconda è l’odio verso tutto ciò che è diverso dalle proprie convinzioni, atteggiamento questo che sfocia spesso nell’insulto quando non nell’aggressione vera e propria. Tutto ciò genera dissonanze cognitive degne di un film di Kubric, come quella in cui gli antifascisti, che si dicono portatori di uno spirito democratico e tollerante, intonano cori che incitano all’omicidio dei propri avversari.
Tornando alla cancel culture, va ricordato che la stessa ha origini antiche, assai più remote di quanto si possa credere. Nell’antica Roma, ad esempio, era frequente l’uso della damnatio memoriae, pratica con la quale veniva cancellata ogni traccia di una persona defunta ritenuta colpevole di gravi reati. In pratica era come se essa non fosse mai esistita. Si trattava di una pena particolarmente dura, riservata ai traditori ed ai nemici del Senato.
Sempre in tema di cancellazione, ma su un altro piano, ricordiamo l’Indice dei libri proibiti, con il quale la Chiesa certificava il dissenso e metteva al bando le opere ritenute più scomode. Ed è questo un modo di utilizzare la censura per fini politici, dunque per eliminare ed oscurare le opinioni antitetiche alle proprie.
Questo spirito, criticato e criticabile, è però oggi considerato accettabile dalla (presunta) maggioranza perché messo in atto da una determinata parte politica, che poi è quella che caldeggia le azioni vandaliche e le aggressioni contro chi non la pensa nello stesso modo. Un modus pensandi ed operandi, questo, proprio dei fanatici, convinti di possedere la verità e al contempo terrorizzati di perderla.
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