‘Sei Nazioni’, sudore e sangue: il rugby come parabola di vita

da Cristina Di Giorgi

In Italia si parla molto (forse troppo) di calcio, al punto che spesso veniamo non a torto descritti come un popolo di allenatori “da bar”. Per quanto appassionati tifosi, non possiamo però non riconoscere che quello della “palla rotonda” è diventato in molti casi un “teatrino” che con lo sport, quello vero, ha in moltissimi casi ben poco a che vedere. Ci sono, certamente e per fortuna, eccezioni: storie di grandi uomini e grandi esempi (sul rettangolo di gioco e fuori), infatti, non mancano. Ma – ed è questo che vogliamo in queste righe sottolineare – ce ne sono tante e molto forti sotto vari aspetti anche in altri mondi. Come quello della “palla ovale”, visto anche il torneo del “6 Nazioni” in corso.

Tra esse oggi vi raccontiamo quella di Martin Castrogiovanni, argentino di nascita e italiano di adozione, molto seguito sui social e noto anche al grande pubblico televisivo per diverse partecipazioni a trasmissioni popolari di successo.

Qualche settimana fa in rete abbiamo trovato un lungo messaggio in cui racconta di sé. Un messaggio che merita assolutamente, per quel che trasmette, di essere letto, meditato e diffuso. “Ho amato il Rugby più della mia vita. Nella mia carriera ho avuto molti problemi fisici, ma ho giocato anche infortunato. Una volta, con un menisco fuori uso, entrai negli spogliatoi a gara finita e svenni per il dolore” racconta Castrogiovanni. Che aggiunge: “nel 2011 scopro di essere celiaco. Difficile da accettare per uno che mangia 11 volte al giorno. Poi però capisci che tanti malanni avevano un perché e allora ti curi”.

Ma non è finita qui, perché “Castro”, come viene affettuosamente chiamato, pochi anni più tardi dovrà affrontare un ostacolo ben più difficile: “nel 2015 sono in ritiro con la Nazionale in Inghilterra per preparare il Mondiale. Mi fa male la schiena ma voglio giocare, non mi sono mai allenato così tanto, ci tengo, è la mia quarta Coppa del mondo, un traguardo importante. Mi dicono che ho il nervo sciatico infiammato. Un bel punturone di antidolorifico e vado in campo. Gioco malissimo, arrivo sempre in ritardo, vengo criticato e mi sento vecchio come mai mi è capitato”.

Castro però non si abbatte, vuole capire che succede e chiede di fare analisi ed esami medici: “Mi fanno una risonanza e aspetto i risultati. Vedo i medici vaghi, nessuno che mi dice come stanno le cose”. Allora “li chiudo in una stanza e urlo: o mi dite che cosa ho o da qui non uscite. Mi fanno leggere il referto e scopro di avere un neurinoma al plesso lombare. Un tumore per il quale mi danno sei mesi di vita”. La notizia è terribile, ma lui reagisce: “Non crollo. Penso che finché parli, giochi, ti svegli la mattina, puoi lottare”.

La battaglia prosegue in una clinica di Milano, dove “mi dicono che è raro che quel tumore sia maligno, però l’operazione sarà rischiosa perché potrei perdere l’uso di una gamba”. Difficilissimo dunque, ma Castro come sempre non si tira indietro: “Mi operano, muovo la gamba. Un mese dopo sono di nuovo in campo. Poi vado a Cardiff con la Nazionale, durante l’inno piangevo come un bambino. Perdemmo in malo modo. A gara finita entrai nello spogliatoio e vidi i compagni più giovani postare foto su Instagram. Io stavo male per la sconfitta e loro si divertivano. Capii che quello non era più il mio mondo. Oggi vedo ragazzi che al primo risentimento si danno malati per una settimana. Io giocavo anche con il sangue che mi usciva dagli occhi”.

Una lezione, questa di Castrogiovanni, che vale per tutti noi. Perché dà valore al sacrificio e all’impegno, qualunque sia l’ambito nel quale vengono profusi.

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