Alla ricerca dell’autentica felicità

da Il Dispaccio

L’attuale deriva della società occidentale, fatta di transumanesimo e ‘cultura’ woke, si fonda su un concetto di ‘felicità’ perverso e sinistro. È del tutto normale che l’uomo ricerchi la felicità: ma deve essere quella autentica. Questa ricerca deve essere parte integrante della sua natura. Ma cos’è questa ‘felicità’ autentica? Essa si fonda sul saper compiere ciò che è Giusto, costi quel che costi. Compiere la Giustizia è affermare la Verità e affermare la Verità significa, in primis, affermare ciò che è Giusto, ciò che è Vero e ciò che è Bello. Autenticamente, senza compromessi. Questa felicità si conquista col tempo, avvicinandosi all’Essere, a Dio, nulla più.

In fin dei conti, essere felici è essere fedeli a se stessi, al proprio più alto Essere.

L’inganno dell’Avversario è stato saper sfruttare tale vocazione dell’uomo a suo svantaggio, rovesciando l’equilibrio tra felicità e giustizia (questa volta, con la ‘g’ minuscola) e ponendo nella prima il fondamento della seconda. Così, oggi si pretende che ciò che possa rendere egoisticamente ‘felici’ debba per ciò stesso essere riconosciuto come ‘giusto’.

Senza il fondamento della Giustizia, la ‘felicità’ è un capriccio per cui ogni stravaganza diventa un diritto. Slegando la felicità da un profondo e autentico rapporto con se stessi e col mondo, si comincia a cercarla al di fuori di sé. Questo è l’inganno del serpente: l’uomo per voler essere «come Dio» ha dimenticato di esserne l’immagine e, convinto a cercare al di fuori ciò che è chiamato a realizzare in sé, ha iniziato così a morire. Ecco la natura luciferina della deriva antropologica attuale.

Così, secondo l’aberrazione transumanista, sarà il progresso tecnico a rendere definitivamente ‘felice’ l’uomo, eliminando condizioni come la malattia e la morte e comportando nuovi stadi evolutivi (solo questo la dice lunga). Nel frattempo, inserito in un programma eutanasico di distrazioni in attesa del decesso, scisso in se stesso, slegato dalla propria natura, ecco l’‘uomo woke’: è fluido, la sua identità è data dalla pulsione del momento, esiste per consumare e godere ed è costantemente connesso, perciò scisso da se stesso, dalla propria storia – nel rigetto del proprio passato – e dal proprio avvenire, nel rifiuto di procreare; è pronto a nutrirsi di insetti in nome della sostenibilità (delle tasche delle grandi multinazionali) e la sua vita, quando non può più produrre, acquistare o godere, diviene definitivamente inutile e senza dignità – come dicono i ‘buoni’, quelli del linguaggio inclusivo – e per questo può disfarsene in qualche clinica svizzera all’avanguardia.

Questo neo-illuminismo ripropone in salsa tecnologica e fluida gli stessi tiranni, le stesse ghigliottine, la medesima furia iconoclasta, ma soprattutto lo stesso odio per l’uomo e la sua vita interiore, sostituendo l’equilibrio tra ‘Sacro e vita’ con il binomio ‘tecnica-diritti’. 

Dal canto nostro, se questo è l’‘uomo’, preferiamo riaffermare la vita nella sua interezza, senza voler dimenticare la morte, ottima consigliera per coltivare Verità e Giustizia nell’incertezza del tempo: rispettare la parola data, rinunciare al superfluo e offrire il nostro tempo e le nostre energie. Prendere atto della fragilità e delle precarietà delle esistenze è il primo passo per una felicità autentica, coltivata nel fedele rapporto con noi stessi e con il mondo: riscoprire chi siamo e che viviamo per contribuire a un più grande progetto, per quanto ciò possa costare.

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