Gilbert Keith Chesterton è uno dei più importanti giornalisti e scrittori dell’Inghilterra e dell’Europa della prima metà del ‘900. La sua fama è dovuta soprattutto ai romanzi gialli che hanno per protagonista Padre Brown – una straordinaria figura di sacerdote e investigatore – ma nel corso della sua vita fu anche giornalista, autore di saggi storici, politici e filosofici e, persino, fondatore di un movimento politico, la ‘Lega Distributista’, che cercava una terza via tra capitalismo e marxismo e si proponeva di applicare seriamente e integralmente la Dottrina Sociale cattolica. C’è una straordinaria varietà di talenti convogliati nella monumentale figura di questo intellettuale londinese che, sulla base del suo rapporto con la fede cristiana, costruì la sua enorme sfera culturale, capace di sondare l’interiorità del pensiero umano in tutte le sue sfaccettature.
La sua è stata una visione profonda, poliedrica, dispensatrice di sempre nuove sorprese e soggetta alle più diverse interpretazioni, forse proprio per la sua capacità di spaziare con sapienza e saggezza attraverso tutte le sfere della conoscenza, regalando letture approfondite dell’uomo anche attraverso la creazione di personaggi di fantasia altamente credibili. Ai suoi tempi Chesterton veniva definito come ‘the laughing philosopher’, il filosofo che ride, a motivo del suo senso dell’umorismo, e della sua capacità di affrontare la vita con letizia e intelligenza. Tuttavia, non era sempre stato così: Chesterton non ebbe una giovinezza facile, anzi visse gran parte dell’adolescenza in uno stato depressivo. Allora, fu la lettura sistematica e approfondita del libro della Bibbia, che narra la storia di Giobbe, icona dell’uomo sofferente, lo strumento attraverso cui si convertì anima e corpo al Cristianesimo? La giovinezza di Chesterton fu, per molti versi, simile a quella di tanti ragazzi di oggi: bullismo, senso di inadeguatezza, fallimento, fragilità, ricerca di un senso alla vita. Tuttavia, ‘è meglio accendere una candela che maledire il buio’: trovò un appiglio di speranza, che era la Fede. Nel Libro di Giobbe scoprì la narrazione di un dolore innocente, di sofferenze ingiuste. Ma quale sofferenza non lo è, agli occhi di noi umani? Solo Dio può spiegare il mistero del dolore. E Gilbert trovò un Dio che si fa presente e non abbandona, in nessuna circostanza.
Così, nel luglio del 1922, Chesterton concludeva un suo lungo percorso di ricerca spirituale, diventando cattolico. Fu una scelta maturata a lungo, coincidente con la creazione del personaggio dell’anzidetto Padre Brown, ispirato da un amico prete irlandese, Padre John O’Connor. Suo fratello Cecil lo aveva preceduto di qualche anno nella conversione. Il suo più caro amico, Hilaire Belloc, era un cattolico militante e, oltre a Padre O’Connor, Gilbert poteva vantare altri amici religiosi, come il domenicano di Belfast Padre Vincent McNabb, predicatore in Hyde Park, con cui condivideva l’impegno nel Movimento Distributista, Padre Ronald Knox, un convertito diventato cappellano a Oxford, autore di libri gialli, e Dom Ignatius Rice, monaco benedettino e campione di cricket. Personaggi straordinariamente insoliti e anticonformisti. Padre O’Connor fu il più pronto tra questi amici a cogliere i segni della volontà di Gilbert, di cui da tempo conosceva il desiderio di essere accolto nella Chiesa cattolica. A lui aveva confidato, mentre si batteva con la penna in difesa della fede, che «gli uomini non sono stanchi del Cristianesimo. Non ne hanno mai trovato abbastanza per esserne stanchi». Durante tutta la sua vita Chesterton, nella chiara consapevolezza che tutto ha un senso, utilizzo gli strumenti a lui più congeniali, fogli e penna, per combattere il relativismo e le derive a cui la società di fine Ottocento e primo Novecento stava andando incontro a folle velocità. Egli era deciso a difendere persone e cose concrete, il buon senso e la ragionevolezza, e in questo solco va intesa anche la sua conversione alla fede cattolica, abbandonando le derive della chiesa protestante anglicana. Un giudizio un po’ elevato, come sentenzierebbe qualche scettico, ma basta leggere i suoi scritti per comprendere che non si tratta di una valutazione enfatica o azzardata. Si fece difensore della Fede e della ragione, se non addirittura, potremmo dire, del ‘buon senso’. Scrisse che il mondo moderno, prima ancora che subire un tracollo morale, ha subito un tracollo mentale. In effetti le follie politiche e ideologiche e lo stravolgimento dell’etica naturale hanno la loro radice in questa insensatezza, nella perdita di significato, nella liquidità umana del nostro tempo, nel superamento materiale e l’abbattimento di ogni limite. C’è un nulla che avanza. E Chesterton gli si oppose con coraggio. Sue sono le famose parole che oggi riecheggiano più forti e chiare che mai, di fronte ad un mondo che corre a velocità sempre più elevate verso l’abisso: «Accenderemo fuochi per testimoniare che due più due fa quattro. Sguaineremo spade per dimostrare che le foglie sono verdi in estate. Non ci resterà quindi che difendere non solo le incredibili virtù e saggezze della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile: questo immenso, impossibile universo che ci guarda dritto negli occhi. Combatteremo per i prodigi visibili come se fossero invisibili. Guarderemo l’erba e i cieli impossibili con uno strano coraggio. Saremo tra coloro che hanno visto eppure hanno creduto». Ma ricordiamo anche altre parole, che denotano profondità e accenni di conoscenze superiori: «Si può trovare la verità con la logica soltanto se la si è già trovata senza di essa» […]
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