«Amo essere donna e un’artista femmina»: solo per questa affermazione Adele, la famosissima cantante inglese all’inizio di quest’anno ha subito un attacco vergognoso da parte degli LGBTIQ+. «È transfobica!», «Discrimina!». Già J.K.Rowling, autrice della saga di Harry Potter, era passata, e continua a passare, tra le forche LGBTIQ+: due ‘TERF’ famose, definizione con la quale si cerca di azzittire chiunque provi ad affermare che i maschi sono maschi, le donne sono donne, che solo le donne partoriscono e hanno il ciclo e ovvietà simili. Ma per capire meglio la dimensione della follia a cui stiamo assistendo basti pensare che in occasione dell’ultima festa delle donne siamo stati immersi in un romanzo distopico: la stessa festa (contro la quale spesso mi sono trovata a parlare) è stata insidiata proprio dagli stessi che l’hanno ideata e organizzata: la festa della donna, secondo il politicamente corretto, non può più essere rappresentata solo dalla donna, diventando un’altra festa LGBTQI+. Si vedano le locandine di eventi per l’8 marzo, con volti metà di donne e metà di uomini, perché anche in Italia ‘gli uomini che si sentono donne sono donne quanto le donne, anzi forse di più’. Follia questa replicata nelle scuole dei nostri figli dove fanno capolino sempre più spesso carriera alias, asterisc* e schwa. Non per rispettare le donne, bensì per cancellare donne e anche uomini.
La famosa ideologia gender, ricordate? Quella che, quando abbiamo iniziato a denunciarla pubblicamente 10 anni fa, «non esiste» dicevano, è «una bufala, figurati». È la stessa per cui oggi, anche durante la festa della donna, sentirete e leggerete «ciao tutt*», «Ciao tuttu», «ciao tuttə». La stessa per cui si è andati nelle scuole a insegnare che una donna emancipata, felice non è certo la madre, ma quella che sbandiera l’assorbente in faccia all’uomo (impressionante la mole di pubblicità volgare in questo senso) o che minge per strada, che non si definisce, che ha rapporti multipli e promiscui, che manifesta a seno nudo, che mima orgasmi o rapporti con oggetti sacri davanti a San Pietro; che elimina il figlio. E che deve continuamente sminuire l’uomo, per essere.
Siamo bombardate da lezioni su come dovremmo essere, ci stanno provando a convincere che non andiamo bene così come siamo, ma che anzi dobbiamo rubare il posto agli uomini, perché il nostro non va bene; lo stile agli uomini, perché il nostro non va bene; il ruolo agli uomini, perché il nostro non va bene. E allora, invece che aiutare i papà a stare più a casa, si finge che la madre modello sia quella che rinuncia a stare con i figli pur di far carriera. E che questa rinuncia non sia un sacrificio, né per la mamma, né per i figli. È certo che c’è una ideologia che attacca la donna, proprio perchè matrice della vita, ma è altrettanto certo che questo attacco è stato possibile solo quando la donna è stata separata da un alleato prezioso, cioè proprio l’uomo, che questa ideologia indica come nemico, violento, come superfluo. Quante volte abbiamo sentito «sei un uomo, non ti devi interessare»? Una volta allontanati gli uomini, si è potuto affondare il colpo e strapparci la maternità e non solo: il nostro essere materne.

Ci siamo autosabotate: ci hanno fatto credere che indicare gli uomini come nemici e rifiutare il nostro essere donne sarebbe stato la chiave giusta per riscattarci. E invece, siamo rimaste sole.
L’uomo, continuamente indicato come un essere ontologicamente cattivo, violento, ‘patriarcale’, ‘maschilista’, ‘da femminilizzare’. L’uomo da annientare con una guerra al testosterone senza precedenti. Dio solo sa quanti uomini pericolosi girino per le strade con lo scopo di far male alle donne, o quanti ex compagni violenti andrebbero individuati prima che commettano gli atroci delitti che conosciamo. O ancora quanto sia assurdo che tantissime donne siano vittime di atroci delitti commessi da uomini che sono stati denunciati: ma la generalizzazione ideologica, o politica, è un tragico errore, che tutte noi stiamo pagando. D’altra parte, Dio sa anche quanto abbiamo bisogno di uomini maturi, onesti, buoni che stiano accanto a noi donne. Anche per custodirci.
Ci hanno fatto credere che indicare gli uomini come nemici a prescindere e rifiutare il nostro essere donne sarebbe stata la chiave per riscattarci da indubbie ingiustizie subite. E invece siamo sole, ancor più vulnerabili. Impressionante come il fantomatico diritto all’aborto – oltre ad aver ucciso bimbi nel grembo della propria mamma, ad aver negato loro il diritto fondamentale di adempiere alla propria chiamata arricchendo la Storia di tutti noi – ha trasformato la maternità in un paradigma di solitudine: «è una scelta tua» l’aborto, ma «è stata una scelta tua» anche la maternità. Così, se resti incinta, – preferendola alla ‘libertà della contraccezione’ – allora te la sei cercata, dicono. Se scegli di condurre la gravidanza – preferendola alla ‘libertà dell’aborto’ – ti devi fare carico delle conseguenze da sola, possibilmente senza rompere troppo, dicono. Così, non si può parlare di maternità, se non si parla di aborto. Quasi fossero due opzioni equivalenti […]
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