L’ ‘uomo nero’ dei social network: intervista a Tommaso Longobardi

da Tommaso Longobardi

La propaganda politica si sta avvicinando al marketing (i politici diventano prodotti da promuovere) o il marketing si sta avvicinando alla politica (acquistare un prodotto sta diventando una scelta politica)?

Ritengo non sia giusto legare il mondo del marketing al settore politico. Nel primo caso, infatti, l’obiettivo principale è la vendita del prodotto, mentre nel secondo il ruolo della comunicazione punta a una narrazione che abbia come risultato finale il voto, la propaganda o il gradimento. Si tratta quindi di obiettivi complessi che non abbinerei tra di loro visti i diversi fini di entrambi.

Quale beneficio sta portando la dimensione sempre più ‘social’ della politica nel rapporto con gli elettori, oppure rischia di trasformare la politica obbligandola entro le regole dell’intrattenimento digitale?

Il fatto che la politica si sia affacciata sempre di più alla dimensione social ha generato sia effetti negativi che positivi: negativi, sicuramente in relazione all’adeguamento del messaggio politico, molto complesso e pesante da trattare in un contesto digitale e di intrattenimento. Questa dinamica ha di conseguenza generato una semplificazione del pensiero. Positivo è, invece, il rapporto che i social hanno instaurato tra politici e elettori, eliminando i filtri giornalistici che prima facevano da collante tra le due realtà.

Dove deve fermarsi l’immagine e la dimensione social della politica? Esiste una insuperabile red line che divide questo spazio dal resto?

Tutto dipende dal ruolo che viene ricoperto dal profilo politico. Se parliamo di un profilo legato alla militanza, ci sono sicuramente meno limiti rispetto a dove la comunicazione possa arrivare. Se invece parliamo di profili politici legati a ruoli istituzionali, abbiamo molti più paletti in cui circoscrivere la comunicazione.  Entrando nel pratico, un attivista politico può permettersi di utilizzare i suoi social privati per descrivere la sua giornata ‘personale’ in ogni sua angolazione, senza che questa desti reazioni negative da parte dei suoi follower. Nel caso di un politico di professione, difficilmente questo potrà usare i suoi circuiti personali come diario della sua vita privata senza ricevere reazioni negative. Questo perché i suoi elettori si aspettano dalla sua figura una devozione specifica alla causa politica. Esistono sfaccettature di questa realtà: ci sono politici che usano spesso i propri canali per descrivere anche il loro lato umano, altri che li usano solo in circostanze iconiche, infine c’è anche chi evita totalmente di mostrare il proprio lato personale. Questione di sensibilità e di percezione, sia del politico, sia del professionista che cura i social.

Se potessi eliminare un elemento, una tendenza, una moda dei social network, quale sceglieresti? (es. video su Tik Tok, campagne di shitstorm, troll, segnalazioni pretestuose di contenuti, dittatura ottusa degli algoritmi etc.)

Se avessi il potere di trasformare le policy dei social network, cambierei quasi sicuramente un fattore: la discrezionalità delle decisioni. Dico questo perché spesso ci si rifugia nei famosi ‘standard di comunità’ – trattasi nel 90% dei casi di regole generiche e ambigue – per far fronte a rilevanti decisioni relative al destino degli utenti. Uno stratagemma che libera i social dalle responsabilità decisionali e che lascia carta bianca alla discrezionalità su tanti fattori. E credo che questo sia lesivo della libertà di parola online: non perché io tenti di giustificare chi fa un utilizzo scorretto del social, ma perché credo che le decisioni in tema di censura/blocchi debbano essere regolate da policy chiare ed esplicite. Soprattutto da social network che ad oggi sono paragonabili a veri e propri editori […]

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