«L’utero è mio e lo gestisco io»: è da questo sillogismo totalitario del femminismo che deriva l’idea del nascituro quale ‘un pezzo’ di utero?
Ciò che le femministe ritengono intoccabile è in realtà la libertà sessuale. Tutto ciò che in qualche modo tocca questo tipo di libertà, viene vissuto con grande fastidio. Ma opporsi all’aborto non significa negare la libertà di vivere la propria sessualità. Il problema è che c’è di mezzo un’altra vita. Mi fa molto piacere il successo di ‘Unplanned’, il film che tratta la storia di una donna che ha abortito e che lavora in una clinica di Planned Parenthood: ha modo di assistere a una ecografia durante un aborto e, vedendo che il bambino nella pancia si ritrae al momento dell’operazione, capisce che lì non c’è solo un utero, ma anche una vita e, quindi, tutte le sue certezze crollano come un castello di carta. Eppure non era né religiosa, né plagiata. Era una donna, si direbbe oggi, libera. Tutte le donne che si battono per l’aborto dovrebbero vedere questo film, tratto da una storia vera.
Tra le affermazioni del popolo a difesa della vita, qual è quella che, secondo te, fa più arrabbiare la fronda pro-abortista?
Per la mia esperienza, anche nei colloqui con donne che hanno scelto e supportato l’aborto, ciò che maggiormente le ferisce è ricordare che nel loro grembo c’era veramente un figlio e, di conseguenza, la consapevolezza di aver ucciso quest’ultimo è un dolore che segna tutta la vita. Quindi, la reazione è di rabbia di fronte a chi glielo ricorda, chi impedisce la rimozione: è difficile ammettere una cosa tanto enorme. Le hanno convinte dicendo loro che avrebbero avuto altre possibilità di essere madri, ma per molte di loro – soprattutto quelle che abortirono con tecniche oggi superate – i danni sono irreversibili. Ma – che possano restare nuovamente incinte o meno – quel figlio, Giovanni, Francesco o Maria, non tornerà più. E questa contezza è un dolore talmente grande che suscita rabbia: in fondo al cuore, scavando bene, ognuno di noi conosce la verità. Anche quella più dura da accettare.
Sei spesso bersaglio di insulti e accuse da parte delle femministe pro-aborto, ma il tuo aplomb è impeccabile. Perché le femministe non accettano che la difesa della vita possa venire anche e soprattutto dalle donne – che invece loro dicono di tutelare con le loro campagne di morte?
Effettivamente è più facile prendersela con un uomo, bagnando gli strali di patriarcato e violenza verso le donne. Ma quando è una donna a combattere contro l’aborto, ciò è più difficile da accettare perché – come dicevamo – è un maggiore richiamo alla verità. D’altra parte, le donne che abortiscono possono diventare influencer e dichiarare di stare molto bene dopo l’aborto: ma chi le conosce sa benissimo che non c’è una donna che trova benessere – né fisico né, soprattutto, psicologico, tantomeno spirituale – in un’esperienza del genere. Per questo mantengo un certo aplomb di fronte alle critiche: come fai a prendertela con una donna così ferita, addolorata e livorosa? Non mi fa rabbia, di certo, bensì mi rattrista profondamente, perché l’amore di una madre per un figlio è una cosa talmente viscerale – pur con tutti i limiti di un amore che a volte diventa possessivo o violento – che non puoi vivere sapendo di avere ucciso il tuo bambino […]
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