(Co-autore: Roberto Asse) Il motivo della storica ostilità delle élite mondialiste nei confronti dell’Iran risiede nella questione del velo o nei diritti umani negati? A ben guardare, no. A queste élite non stanno veramente a cuore i diritti umani, tant’è che – rimanendo sempre in Medio Oriente – per anni non hanno fatto mistero di appoggiare o ‘flirtare’ con gruppi terroristici e regimi che si sono macchiati dei crimini più terribili. I motivi sono, allora, da cercarsi altrove. Non vi è mai stato nessun velo obbligatorio in Siria, ad esempio, eppure nel 2011 queste stesse élite, con i loro testimonial alla Bernard-Henri Lévy, hanno contribuito a destabilizzare un Paese sovrano e indipendente. E gli esempi potrebbero proseguire…
Il vero motivo, dunque, non risiede tanto nel fatto che ai potenti mondialisti disturbi che le donne iraniane «siano vessate dall’obbligo del velo». Diversamente, ai ‘signori del pensiero’ (unico) disturba che vi siano Paesi indipendenti e sovrani che vogliono preservare la loro identità culturale, nazionale e religiosa. Infatti, il velo – elemento del costume della donna in diverse religioni e tradizioni, sin dall’alba dei tempi – fa parte del codice di abbigliamento iraniano da secoli: ben prima della Rivoluzione Islamica e addirittura prima dell’avvento dell’Islam. Quanto all’Iran, con libere elezioni circa il 98% del popolo scelse di preservare le proprie tradizioni religiose realizzando la Rivoluzione del 1979 – una rivoluzione voluta contro la distruzione dell’identità culturale e spirituale attuata dall’allora governo dello Scià – e poi con il sostegno alla Repubblica Islamica. Tuttavia, assistiamo oggi, tramite i media e gli influencer occidentali, a una martellante propaganda mediatica contro l’Iran – unita a una diffusa pressione politica – che spinge al cambiamento di costumi per uniformarli a quelli occidentali. È evidentemente ciò che vogliono le suddette élite globaliste: utilizzando la leva dell’inclusione femminile e dell’uguaglianza, realizzare un mondo in cui tutte le culture siano amalgamate e uniformate a un unico modo di fare-pensare-mangiare-agire. La distruzione delle identità che premette il cambio di regime. Non si può credere, in quest’ottica, alla piena spontaneità delle proteste in Iran, giacché vengono aizzate e sponsorizzate – a suon di denaro, armi e sovraesposizione mediatica – da soggetti terzi che intendono ripetere quanto loro già riuscito in diverse occasioni: il regime-change tramite rivoluzione colorata. Essi sanno che la forza dell’Iran è nel suo legame tra sfera religiosa e politica – e anche fra tradizioni locali e prassi politica – ed è per questo che vogliono minare l’identità culturale iraniana per indebolire l’Iran stesso.

Il codice di abbigliamento fa parte dell’identità di un popolo
Venendo al velo in sé, occorre dire che non è certo solo un ‘accessorio’, bensì un simbolo e un precetto religioso: non è una peculiarità della tradizione islamica, essendo diffusa tra molte culture come quella persiana (anche prima dell’avvento dell’Islam), quella romana antica, quella cristiana e così via. E oggi, sebbene i costumi possano esser cambiati in qualche parte del mondo, ciò non significa che tutti i popoli debbano coattivamente e simultaneamente adattarsi a tali cambiamenti. Tanto meno se tali cambiamenti non fossero spontanei bensì accelerati e fomentati da terzi, portatori di interessi divisivi, che non apportano alcun beneficio alla comunità in cui si vorrebbero vedere realizzati. Come si può ben osservare, sembrerebbe che in Occidente non esistano severi canoni di abbigliamento, essendo apparentemente concesso abbigliarsi in qualsiasi modo. Tuttavia, esiste la moda che, con i suoi diktat e le sue tendenze, impone di vestirsi a una certa maniera, a pena di esclusione dalla società civile. Per non parlare delle donne uccise in crimini d’odio, o delle evidenti differenze di retribuzione tra uomini e donne per analoghe posizioni: applicando gli stessi criteri che si vorrebbero imporre all’Iran, dovremmo – analogamente e per coerenza – sanzionare il cosiddetto ‘Occidente’ per crimini contro le donne. Ma, allora, viene da chiedersi: nella grande libertà che l’Occidente tanto invoca, perché tutti dovrebbero adeguarsi agli standard occidentali, univoci e stabiliti altrove? In ogni ordinamento statale vi sono norme – scritte e, soprattutto, non scritte – riguardanti gli atti considerati offensivi al comune senso del pudore e alcune di queste riguardano il codice di abbigliamento: perché scagliarsi solo contro le norme iraniane? Certamente, queste norme di tale sistema si fondano sugli insegnamenti islamici: nulla di cui stupirsi, giacché ogni sistema legislativo si fonda su una specifica base filosofico-valoriale (laica o religiosa a seconda degli ordinamenti) e su determinati criteri, normalmente conformi a quella che è la concezione dello Stato e dell’ordinamento che ne deriva, nonché a quelli che possono essere i mutamenti in una società. E, ricordiamolo, il 98% circa della popolazione iraniana è di religione musulmana. Dunque, perché chiedere all’Iran di adattarsi ai criteri occidentali? Possono ben intervenire nella storia di un Paese sia cambiamenti sia riforme, ma giustizia vuole che tali dinamiche si determinino in modo naturale e spontaneo, non già attraverso la violenta propaganda di una minoranza, molto spesso motivata da interessi individualistici e secondi fini, come appaiono – alla vista di un osservatore meno incline ad accettare la narrazione stereotipata del mainstream – le proteste tanto pubblicizzate e fomentate dall’Occidente. D’altra parte, è diritto inalienabile di ogni popolo preservare la propria identità e scegliere l’ordinamento politico più fedele alla propria storia e alla propria cultura: l’autodeterminazione dei popoli è proprio uno dei pilastri dell’ordinamento internazionale che tanto si vorrebbe preservare, paradossalmente, violandolo proprio tramite l’ingerenza nelle questioni interne di altri Paesi. E non occorre gridare allo scandalo se, di fronte alla maggioranza, si pone una minoranza in disaccordo, dal momento le minoranze sono sempre esistite e, pertanto, non sono sintomo dell’esistenza di un regime o di mancanza di libertà. Ma il contrario.
Chiediamoci: cosa succede quando queste minoranze sono sostenute dalla propaganda mainstream e dalle élite mondialiste? Succede quello che sta succedendo in Europa con i movimenti woke a supporto della cancel culture: l’identità di quel popolo pian piano muore. E cosa succede quando le richieste di riforme si trasformano in guerriglia urbana con armi contrabbandate dall’estero? Succede che uno Stato viene destabilizzato, come è successo in Siria nel 2011, e come vorrebbero che avvenisse in Iran. Un film (hollywoodiano) già visto.

Il significato spirituale del velo
Il simbolismo del velo ha almeno una duplice interpretazione. In primo luogo, occorre far riferimento all’atteggiamento del credente verso Dio: dovendo egli scegliere come orientare e gestire la sua vita – di cui fanno parte anche le scelte in termini di decoro personale e abbigliamento – il credente sa che Dio è Colui che meglio di chiunque altro può orientare la sua vita, in modo da ottenere la felicità in questo mondo ma anche la realizzazione spirituale su altri piani. Tale sottomissione non è giustificata solo dalla fede, ma anche dalla logica, in quanto – nella prospettiva del credente – Dio è l’unico che possieda quelle qualità che Gli permettono di emanare leggi e norme che veramente giovino all’essere umano: egli infatti conosce tutte le dimensioni dell’essere umano – materiali e spirituali; solo Dio è in grado di comprendere gli interessi delle Sue creature e in base a ciò definire imparzialmente le leggi; Dio è l’unico immune da errori involontari e dimenticanze; infine, solo Dio possiede sempre e in qualunque caso l’attributo del rispetto e della superiorità nei confronti degli altri. Dunque, nella prospettiva del credente islamico, chi meglio di Dio può indicare le norme da osservare, ivi incluse quelle sul decoro e sull’abbigliamento?
Contestualmente, nella prospettiva islamica, la donna, per le sue caratteristiche, è più propensa a manifestare gli attributi di bellezza (‘bellezza’ nel suo significato più completo) di Dio. Bellezza sacra, cui non tutti possono avere accesso. Se questa bellezza fosse diffusa a tutti, essa verrebbe banalizzata, strumentalizzata e sfruttata per altri scopi. Il corpo della donna non deve essere visto come un qualcosa di osceno, bensì come un qualcosa di sacro, perché può potenzialmente diventare manifestazione della bellezza divina e, in quanto tale, va protetto.
In conclusione, non è possibile considerare il velo della donna iraniana come un ‘sopruso volto a minarne la dignità’, dovendolo piuttosto considerare come un elemento appartenente alla storia e alla religione su cui si fonda il popolo iraniano e sulle sue autonome scelte, per cui migliaia di persone hanno donato la propria vita. Con buona pace delle élite globaliste e delle violente rivolte delle minoranze eterodirette.
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