L’Islam considera l’uomo come il vicario di Dio sulla terra (Corano, II, 30), quindi come l’affidatario delle risorse terrestri che il Creatore ha messe a sua disposizione, delle quali tutti hanno il diritto di usufruire.
Per ottenere un’equa condivisione di questo bene collettivo, la dottrina islamica prevede che il singolo, una volta soddisfatti i propri bisogni, si prenda cura, secondo le proprie capacità, di quelli degli altri membri della comunità. «Iddio – disse l’Imam ‘Ali – ha reso obbligatorio per i ricchi di provvedere i poveri di ciò di cui questi hanno bisogno; se i poveri sono affamati o nudi o inquieti, ciò avviene perché i ricchi li hanno deprivati dei loro diritti, sicché Iddio li riterrà responsabili di ciò e li punirà».
Tra i mezzi istituiti per la realizzazione di questo obiettivo, il principale è quello cui l’arabo coranico, lingua sacra dell’Islam, dà il nome di zakât. Attraverso la sua radice linguistica, questo vocabolo rimanda al concetto di ‘purezza’; infatti il precetto relativo alla zakât contribuisce a purificare da egoismo e da avarizia l’anima del credente prescrivendogli l’erogazione annuale di una determinata quota dei propri averi. La quota da erogare deve essere calcolata in base a una percentuale fissa (2,5%) della ricchezza accumulata e posseduta per un intero anno. Essa deve essere devoluta a favore di alcune categorie di beneficiari che vengono indicate in un versetto del Libro (Corano, IX, 60): sono i poveri, gli indigenti, i combattenti ‘sulla Via di Allah’, gli amministratori dello Stato, coloro che sono oppressi da debiti (contratti per motivi leciti), ecc.
Nel calcolo della zakât – che viene gestita a livello statale, parastatale o tramite associazioni caritative – rientrano tutti i beni destinati a produrre ricchezza o derivanti da attività produttive (oro, argento, depositi in denaro su conti correnti, capi di bestiame, raccolto agricolo), mentre ne sono esclusi quei beni che non producono ricchezza (cibo, abbigliamento, casa di abitazione, mobilio, auto, ecc.).
Essendo uno dei cosiddetti ‘pilastri’ dell’Islam (insieme con l’attestazione di fede, l’orazione canonica, il digiuno di Ramadan, il pellegrinaggio alla Casa di Dio), la zakât è un obbligo religioso che ogni musulmano è tenuto a osservare, qualora le condizioni glielo consentano. Non si tratta dunque di un’elemosina (atto libero e volontario che la lingua coranica indica col termine sadaqat), bensì di un’imposta sacra, ovvero di una decima rituale.
L’istituto della zakât risulta dunque fondamentale per la ridistribuzione del reddito nella comunità, «cosicché esso non circoli soltanto tra i ricchi» (Corano, LIX, 7) e sia garantito un livello di vita decoroso a coloro i quali non sono in grado di procurarselo con le loro sole forze, o a causa di congenita incapacità personale o di condizioni a loro estranee (ad es. la disoccupazione).
Il Profeta Muhammad, quando nominò governatore dello Yemen Mu’adh ibn Jabal, gli ricordò una serie di compiti; tra questi, educare la comunità al dovere di pagare la zakât, la quale deve essere raccolta fra gli abbienti e distribuita fra i poveri e i bisognosi.
Anche la divisione dei beni appartenuti alla persona defunta, regolamentata con la massima precisione dalle leggi coraniche sulla successione ereditaria (Corano, VII, 13), è concepita come una modalità intesa a evitare la concentrazione della ricchezza e ad accelerarne la ridistribuzione […]
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