La solidarietà, pilastro dell’identità

da Massimo Pacilio

Sovente ci si sofferma a considerare le difficoltà, oggi largamente sperimentabili da ognuno, presenti nella formazione e nella conservazione di una comunità. Ciò induce, come corollario a queste considerazioni, a interrogarsi su che cosa sia una comunità e quali connessioni essa debba suscitare e preservare tra i suoi membri. Qualsiasi sodalizio deve sorgere su una premessa fondativa che renda stabili i rapporti tra i membri, sapendo che essi vengono instaurati in una condizione, quella attuale, in cui prevalgono le ‘forze separative’ (il solve della tradizione alchemica). Quando il sodalizio si pone finalità protese su piani che oltrepassano quello della mera presenza materiale, esso evoca ‘forze coesive’ (il coagula alchemico), che hanno origine ‘in alto’ e riflettono, nell’àmbito dell’esistenza, princìpi di ordine universale.

L’ordine gerarchico di un sodalizio, quando viene riconosciuto naturaliter dai suoi membri, è il segno inequivoco dell’azione di un principio di ordine superiore. La gerarchia (ἱερός, sacro, e αρχία, der. di ἄρχω, essere a capo), infatti, si manifesta prima di qualsiasi mediazione razionale e costituisce la radice comune e l’espressione di una qualità spirituale cui si conformano le nature particolari degli individui. In questo senso, essa adempie a una funzione che, col Guénon, possiamo ascrivere a tutto ciò che nella sua essenza è un simbolo, recante, cioè, la facoltà di aprire ‘l’individuale all’universale’ (R. Guénon, ‘Introduzione generale allo studio delle dottrine indù’, 1921). Tuttavia, il rapporto tra queste due categorie dell’essere viene condizionato dalla predominanza della mentalità quantitativa propria alla modernità, cosicché resta attingibile, a scapito di ogni altro, solo il piano della rappresentazione numerica degli enti, ossia il collettivo, inteso quale ‘estensione’ indefinita dell’individuale (R. Guénon, ‘L’Uomo e il suo divenire secondo il Vêdânta’, 1925). Questa categoria, infatti, quando è applicata all’ambito sociale, impedisce l’autentica conoscibilità della nozione di ‘etnia’ (ἔϑνος, razza, popolo), la quale resta interamente confinata, proprio grazie all’impiego del concetto di collettività, nel campo della quantità.

La borghesia europea, protagonista del processo di affermazione della modernità, ha rimosso, con una serie di sovversioni di natura economica, sociale, religiosa e politica, tutte le forme della gerarchia che si sono manifestate nel tempo: prima di tutto sottraendo a esse il fondamento sacrale (ἱερός), mediante la laicizzazione del potere e, infine, oscurando la funzione di chi è guida di una comunità (ἄρχω), mediante la decapitazione simbolica, operata col diritto (e storicamente rappresentata dalla decapitazione fisica dei monarchi in Inghilterra, nel 1649, e in Francia, nel 1793), dei vertici della comunità stessa. È questo il processo che è stato definito ‘regressione delle caste’ (J. Evola, ‘Rivolta contro il mondo moderno’, 1934), per cui il potere è progressivamente franato dalle caste superiori a quelle inferiori, finendo, poi, per essere ripartito tra le istituzioni fissate nelle costituzioni liberali.

Giunta, oramai, a una delle sue fasi conclusive – cui non è estranea anche la partecipazione delle organizzazioni criminali al potere politico –, da questa regressione delle caste rampolla il concetto (ri-solutivo e dis-solutivo) di ‘uguaglianza dei diritti’, posto a fondamento dell’ultima versione dello Stato, quella dominata dall’economia di mercato e dal ‘capitalismo maturo’. La ‘parità’, in origine veste politica delle aristocrazie guerriere, tracima da queste nella totalità degli uomini, preparando la strada all’apparizione di un nuovo soggetto storico, già preconizzato dallo stoicismo cosmopolita: l’‘umanità’ […]

VUOI CONTINUARE A LEGGERE QUESTO ARTICOLO?
ACQUISTA O ABBONATI ALLA RIVISTA:

Ti potrebbe piacere anche

Lascia un Commento