Il 1° novembre 1972, a Venezia, muore a 87 anni il poeta Ezra Pound. La salma viene portata all’isola di San Michele e qui sepolta nel settore evangelico dell’omonimo cimitero; un’aiuola erbosa e la lapide in marmo, su cui sono incisi nome e cognome, vicina alle tombe, settore ortodosso, di Sergej Djagilev, l’impresario teatrale, ideatore dei Balletti russi, e il compositore Igor Stravinskij. In quella Venezia a lui tanto cara e che lo vede in straordinarie fotografie con il cappello a tesa larga, il mantello e il bastone da passeggio, il volto aquilino, un reticolo di rughe simili a trincee di indomita battaglia, a volte stringendo per mano Patty Pravo, allora bimbetta; vi era giunto la prima volta poco più che ventenne, nel 1908, e vi aveva scritto la prima raccolta edita dal titolo ‘A lume spento’, tratto da un verso del Purgatorio di Dante. «Rendi forti i vecchi sogni – perché questo nostro mondo non perda coraggio», un invito, un monito, premessa e promessa mantenuta tutta la vita, sigillo di tutta la sua opera.
Pound nasce il 30 ottobre 1885 a Hailey, Idaho, USA, in una famiglia dai forti sentimenti religiosi, protestanti e quaccheri. Giovanissimo esprime una personalità estrosa – si racconta come a sera si mettesse al pianoforte, traendone musicalità a lui solo note e poi stendendosi sul prato fuori casa a contemplare il cielo stellato – e, studiando a Philadelfia, con l’immediata intuizione di voler essere poeta. Si coinvolge negli studi sui poeti provenzali e si cimenta nel verso; anni dopo approfondisce la poesia cortese e il Dolce Stil Novo e, leggendo Dante, sviluppa l’idea ardita di creare i ‘Cantos’ in numero uguale ai Canti della Divina Commedia. L’Europa lo attrae e lo rende consapevole che solo in essa – Londra, Parigi, l’Italia – fermentano le linfe vitali della modernità, v’è spazio per esprimere appieno l’anima traboccante in versi e idee e visioni. Dopo il breve e significativo approdo a Venezia (1908), si reca a Londra dove soggiornerà per oltre dieci anni, artefice e partecipe della nascita di correnti nuove del poetare, l’imagismo e il vorticismo; diviene segretario del grande poeta irlandese William Yeats, da cui trae ulteriore lezione per dare al verso robuste ali. C’è, però, di mezzo la Grande Guerra ad abbattere l’ottimismo del secolo appena trascorso, la crisi dell’idea di progresso, l’irrompere delle masse e della tecnica, la solitudine, la precarietà dell’individuo. Pound come molti intellettuali del suo tempo – basti pensare a Céline – rifugge l’orrore del conflitto e ne denuncia l’inanità e si appresta a trarne le cause. Da ‘Ode per l’elezione del suo sepolcro’: «Morirono a migliaia – E i migliori fra quelli, – Per una vecchia cagna sdentata, – Per una civiltà rattoppata, – Fascino che fioriva in sorriso dalla bocca mite, – Occhi vivi scomparsi sotto la palpebra della terra, – Per qualche centinaia di statue rotte, – Per qualche migliaio di libri a brandelli» […]
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