Enrico Mattei, sovranista ‘energetico’

da Marco Valerio Solia

È difficile parlare di Enrico Mattei senza scadere in agiografie o luoghi comuni. A 60 anni dall’attentato aereo di Bascapé, in cui persero la vita il Presidente dell’ENI, il fedele pilota Irnerio Bertuzzi e il giornalista americano William McHale, l’Italia è profondamente cambiata. L’amore per la complessità e la capacità di fare sintesi tra culture politiche, anche molto diverse tra loro, sembrano scomparse. Nella polarizzazione strillona, alimentata dai social e da un dibattito che lascia spazio solo a opposizioni binarie, la figura di Enrico Mattei può scardinare ogni rifugio interpretativo, alimentando dubbi e spunti di riflessione su un passato prossimo così lontano. Come incasellare infatti un partigiano, favorevole nel secondo dopoguerra alla messa al bando del M.S.I., che si ritrovò a finanziare anni dopo (tra gli altri) il medesimo partito, sviluppando peraltro un rapporto solidissimo con il repubblichino Carlo Zanmatti, ingegnere dell’AGIP che per primo gli spiegò le potenzialità nascoste della Valle Padana? Come far accettare un anticomunista convinto che sfidava il blocco occidentale facendo accordi con l’Unione Sovietica e la Cina di Mao, oltre a sostenere pubblicamente leader e formazioni terzomondiste? Domande che resterebbero sterili provocazioni se non ci trovassimo oggi in un tornante storico dove guerra e questione energetica sembrano chiudere ogni ipotesi di dialogo (e di riflessione critica) tra mondi contrapposti. 

Possiamo partire dalla storia del nome di Mattei, particolarmente curiosa: fu la nonna materna Ester a sceglierlo, in onore del ’narratore’ del libro Cuore’, Enrico. Al testo di Edmondo De Amicis il futuro Presidente dall’ENI sarebbe stato peraltro sempre legato. Nella stupenda biografia scritta da Carlo Maria Lomartire, l’autore ricorda come proprio Mattei, visitando un asilo nel 1960, avrebbe chiesto alla maestra: «Ma lei parla mai ai suoi bambini del libro ‘Cuore’ di De Amicis? Lo faccia! Educare, educare bisogna, al sacrificio e alla dedizione alla patria». Così, ad Acqualagna, Marche, il 29 luglio 1906 nacque Enrico, il cui secondo e terzo nome di battesimo sarebbero stati rispettivamente Vittorio e Umberto, a dimostrazione delle fede monarchica del padre, il carabiniere Antonio. Il patriottismo e la fede cattolica (particolarmente intensa nella madre di Enrico, Angela Galvani) verranno trasfusi nel figlio, che non smetterà mai di professarli. Al contrario, il battesimo non avrebbe ‘convertito’” il piccolo alla fede monarchica. Anni dopo, infatti, nell’Italia divisa tra sostenitori della corona e repubblicani, Mattei – che nel frattempo era diventato una delle figure di spicco delle formazioni partigiane bianche, militando nelle correnti della sinistra D.C. – in più occasioni invitò ospiti e amici a non fare discorsi ‘repubblicani’ di fronte all’anziano padre al fine di non amareggiarlo. Un semplice nome di battesimo, dunque, che conteneva però in nuce i valori di riferimento che lo avrebbero guidato per tutta la vita. Essi si sarebbero confrontati e scontrati con sensibilità e fedi politiche diverse, a cominciare dai drammatici anni 1943-1945. Come evidenziato, fu quello spartiacque a fare di Mattei uno dei principali attori della politica nazionale del secondo dopoguerra. 

Nelle ore in cui veniva ucciso Mussolini, infatti, Enrico Mattei otteneva una carica che apparì sul momento di secondaria (per usare un eufemismo) importanza: commissario straordinario liquidatore dell’AGIP. Si rivelerà, invece, un passaggio in grado di modificare il corso della successiva storia repubblicana. L’Azienda Generale Italiana Petroli era un prodotto del Fascismo. Fondata nel 1926 con la volontà d’implementare la ricerca e la commercializzazione di petrolio nel nostro Paese, l’AGIP aveva presto acquisito una non invidiabile nomea presso l’opinione pubblica: critiche, anche ingenerose, avevano colpito la società, considerata una sorta di baraccone di Stato. Non a caso l’acronimo venne popolarmente ribattezzato ’Associazione Gerarchi In Pensione’ o ‘Azienda Generale Infortunati Politici’ a indicare che a finirci erano coloro che erano caduti in disgrazia. Critiche, come detto, ingenerose, perché l’AGIP era riuscita a sviluppare interessi industriali anche molto distanti dalla penisola, come nell’Europa dell’Est e in Medio Oriente, formando – questo l’elemento più importante – professionalità di alto profilo che si riveleranno fondamentali per rilanciare il ruolo dell’AGIP dopo la sconfitta bellica. Enrico Mattei, archiviata una prima fase in cui fu sostanzialmente d’accordo a liquidare l’azienda (complici i pregiudizi popolari che circondavano alcuni ‘carrozzoni statali’), si insospettì delle forti pressioni che le compagnie private e gli anglo-americani facevano sull’Italia in tale direzione. Il ragionamento, semplice ma incontrovertibile, era il seguente: com’era possibile che ci s’impegnasse tanto a far dismettere un’impresa improduttiva e antieconomica? […]

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