Una società sana e normale è espressione di uno Stato organicamente strutturato e il cui scopo non è allevare produttori e consumatori ma sostenere la crescita e la formazione di uomini e cittadini, all’interno di una visione che trascenda ogni singolo particolarismo. Questa società, quindi, non può poggiare le basi della sua esistenza sull’avere. Avere e soddisfare sempre nuovi bisogni, avere e reclamare sempre nuovi diritti, accumulare beni materiali, avere e ricercare potere, affermazione, riconoscimento, avere in una continua rincorsa del ‘posto migliore’, a discapito di qualsiasi forma di solidarietà sociale.
Fama e soldi sono l’obiettivo esistenziale dei giovani occidentali, pulcini ingrassati nel pollaio della civiltà contemporanea a base di relativismo, materialismo e individualismo. Polli che si fanno sbranare da lupi e lupi che diventano polli: senza scomodare Plauto prima né Hobbes dopo, oggi ogni cosa ha un prezzo e i legami sono solo rapporti di scambio nella lotta per la sopravvivenza. ‘Homo homini lupus’. Come direbbe il sociologo tedesco F. Tönnies, al posto di una totalità organica e comunitaria, vi è un aggregato meccanico, una continua competizione tra venditori e compratori, dove chi vende non è interessato al compratore come soggetto né all’impiego che questi farà del bene scambiato, ma alla sola capacità di pagare il prezzo stabilito.
Tuttavia, se all’avere corrisponde l’esigenza primaria di ricercare l’utile e il profitto, al contrario all’essere si collega la necessità di anteporre il giusto e il vero. L’essere è la pietra su cui si erge una società normale, fondata sulla Norma, espressione di uno Stato che svolge pienamente la sua funzione. Essere un uomo e non un semplice consumatore, essere un uomo con doveri verso se stesso e la realtà sociale di appartenenza (famiglia, Stato, ecc.) e non un soggetto che reclama diritti a fronte di falsi bisogni. Essere un uomo che all’interesse particolaristico antepone il bene della comunità, per la quale è disposto al dono, al sacrificio, alla solidarietà, all’abnegazione. Essere, ovvero vivere il legame coi Padri e la Tradizione, riconoscere l’identità delle proprie radici, ricercare la qualificazione spirituale e una vita fondata su valori e virtù.
Essere, ovvero amare nel significato più profondo, intimo e spirituale del termine: amore come assenza di morte, amore quale vita eterna derivante dalla capacità di fare il ‘bene’ e di aiutare l’altro perché è giusto farlo, senza alcun vincolo di interesse o possessione, senza reclamare compenso o riconoscimento. «Io ho quel che ho donato», affermava il Vate, in analogia con la carità cristiana e la zakat islamica, ove l’amore è ricompensa a se stesso come diceva San Bernardo: nel pellegrino cherubico di Silesius, « la rosa fiorisce perché fiorisce, senza perché», infondendo nell’ambiente circostante il suo profumo, la sua bellezza, per il semplice fatto di assecondare la propria natura. Così, da questa prospettiva – sicuramente alta per il grado di purezza interiore che essa implica – ci poniamo la domanda al centro di questo nuovo numero di Fuoco: quanto c’è di vero, giusto, leale, disinteressato e solidale, nella contemporanea beneficenza, così tanto di moda tra i ricchi del mondo? Con ingiustificabile leggerezza costoro sono spesso definiti i nuovi filantropi, dimenticando che la filantropia, quella vera, è ‘amore verso il prossimo’ tendenza a cercare altruisticamente il bene delle persone, anche a discapito dell’interesse personale. Se andiamo a fondo nel ‘bene altrui’ realizzato dalle varie ed innumerevoli fondazioni di beneficenza di costoro, ci accorgiamo che il ‘mercato dei poveri’, condito dal buonismo e dal sentimentalismo, ha un suo ruolo al punto da offrire nuovi e profittevoli scenari all’interno della globalizzazione.
C’è chi ha definito tale fenomeno ‘filantrocapitalismo’, ovvero una strategia adottata dai Paperon de’ Paperoni che, attraverso le donazioni erogate dalle loro fondazioni in nome della lotta alla povertà e per un ‘mondo migliore’, esercitano un’influenza ormai incontrollata sui governi e le loro istituzioni. Lo Stato, in questo modo, abdica al suo ruolo di presenza, guida e tutela degli interessi nazionali e, lasciando il campo all’iniziativa privata, assiste impotente, alla ancor più grave imposizione di modelli e politiche sociali, rispondenti agli interessi dei signori del capitalismo.
I vari Bezos, Turner, Gates, Bill e Hillary Clinton, Zuckerberg, Musk, Soros: nella beneficenza c’è un business da realizzare in un modo diverso e ‘più pulito’ e che attraverso la beneficenza è possibile disporre di uno strumento per educare l’uomo nuovo. In fondo sono loro il vero potere nelle mani della Sovversione e sono loro che, in maniera più o meno indiretta, indirizzano le politiche globali, in un intreccio di misure che solo apparentemente hanno carattere locale rispondendo, invece, a finalità transnazionali.
Pensiamo alla Bill & Melinda Gates Foundation e ai relativi interessi nel campo della salute e delle vaccinazioni: la fondazione è la principale fonte di finanziamento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, nonché è legata a doppio filo con Big Pharma. O la meno nota iniziativa ‘The Giving Pledge’, patrocinata sempre da Bill Gates e da Warren Buffett – quest’ultimo conosciuto come l’‘oracolo’ degli investimenti finanziari; nata nel 2010 sotto forma di campagna per incoraggiare le persone ricche a contribuire a cause filantropiche, ha riscosso grande successo, al punto che ai 62 imprenditori pionieri se ne sono aggiunti molti altri, fino ad arrivare a esserne 236 nel 2022: dati alla mano, negli ultimi dieci anni, i citati fondatori avrebbero visto accrescere la loro ricchezza del 95%. Pertanto, Solidarietà S.p.A. rende bene sul piano finanziario e su quello dell’immagine: donazioni per i senzatetto, l’energia pulita, i panda e i canguri in Australia ed ecco che le pessime condizioni di lavoro presso Amazon passano in secondo piano.
Infine, un’ultima considerazione. Da un lato l’analisi e la riflessione, per le quali Fuoco può fungere da stimolo, dall’altro l’azione concreta, alla quale Fuoco deve contribuire. Riscoprire la solidarietà, quella vera e disinteressata, vissuta con cuore puro e spirito di abnegazione, è un dovere per chi si colloca dall’altra parte della barricata: aiutare chi si trova in un momento di difficoltà con un gesto semplice e poco visibile, sincero e lontano dai riflettori. Farlo perché è giusto farlo, perché così si è e non si può fare altrimenti, come è nella natura della rosa di Silesius. Donare quello che siamo e mettere a disposizione quello che abbiamo, consapevoli che il tempio, coi suoi contemporanei farisei, presto o tardi sarà distrutto.