Tutte le civiltà tradizionali – che sono poi le uniche a poter essere considerate normali – sentono e conoscono la presenza di uno stato dell’essere non direttamente misurabile o razionalizzabile, un ordine metafisico, intangibile, più reale della realtà stessa, vera causa prima di tutto ciò che esiste. Questo principio è il vero Essere, ciò che non è soggetto al divenire, non venendo mutato o condizionato in alcuna maniera dalle vicissitudini del mondo. È la dimensione dell’Eterno. Al di fuori di essa c’è solo l’esistente (da ex–sistere), ciò che sta fuori, che è uscito e vive solo in apparenza in maniera autonoma. La dimensione del tempo è esclusa da quella dell’eterno, e subisce i cambiamenti, le trasformazioni, la morte. Come una scintilla staccatasi da un fuoco, vive e brilla solo per un breve periodo, estinguendosi poi nel nulla o ritornando al fuoco originario.
La dimensione del tempo, in quanto imperfezione e mutamento, è dimensione transitoria, caratterizzata da trasformazioni, mancanze e dolori, fino al momento finale dell’esaurimento, quando ciò che si è distaccato dal principio non ha più la forza di continuare a esistere. Momento ‘finale’ che è definitivo solo per chi direttamente vive quella realtà, ma che può essere relativo in una più ampia prospettiva di cicli temporali.
Ciò che si manifesta nell’esistenza non è più partecipe della perfezione del Principio: si trova nel tempo, vive nell’imperfezione. L’universo stesso, dal momento della sua nascita, incomincia a perdere l’essenza vitale del principio, a spegnersi, a declinare. Ciò che è contenuto in esso segue la stessa sorte. In questa caduta, in questa fatalità, corso ineluttabile che nulla può deviare, si inserisce l’attività umana, anch’essa immersa nel tempo e inestricabilmente legata al suo scorrere. Ma il tempo – e questo è difficilmente comprensibile per l’odierna mentalità intrisa di scientismi – non è una realtà puramente quantitativa (ossia perfettamente divisibile in segmenti uguali e equivalenti) ma è qualità, insieme di periodi tra di loro differenti, ognuno con proprie caratteristiche peculiari (esattamente come lo spazio, che pur essendo misurabile in maniera uniforme, presenta al suo interno una grande varietà).
In quel ‘Grande Anno’ che è un ciclo cosmico si potranno ritrovare quindi dei periodi con determinate caratteristiche, delle ‘stagioni’ in cui la vita è sottoposta a ben precise influenze ambientali. Le ere più arcaiche, più vicine all’archè – al principio – sono quelle in cui il declino è soltanto all’inizio e l’ordine ancora saldo. È l’Età dell’Oro, della verità che coincide con la giustizia, con una realtà non ancora offuscata dal divenire. Ma il tempo non può fare altro che scorrere e il mutamento confonde l’ordine eterno che sempre persiste ma che è sempre meno visibile. La scintilla incomincia a spegnersi. È una sorta di entropia, che non riguarda però solo la fisica ma interessa anche l’organizzazione umana e tutte le sue manifestazioni, da quelle politiche alle spirituali.
Si potrà comprendere quindi come la descrizione dei tempi ultimi fornita dai vari testi tradizionali non possa essere considerata come una semplice ‘profezia’, ma piuttosto una previsione la cui certezza è stabilita dalla conoscenza dell’intima natura del tempo e dei suoi meccanismi. La decadenza segue fasi ben precise.
Un’unità di tempo ancora concepibile secondo i nostri parametri (ve ne sono infatti anche altre, di dimensioni colossali) è il cosiddetto mahayuga della tradizione indo-aria, ciclo di manifestazione in sé concluso, con un suo inizio, una fine e suddivisioni interne dovute al suo sviluppo. Questa ‘grande epoca’, pur facendo parte di cicli ancora più grandi, può essere considerata un’unità temporale relativamente ‘chiusa’, un orizzonte entro cui potersi orientare (ne è stata anche calcolata la durata in 4.320.000 anni, ma su questo punto è necessaria cautela, stante la diversa qualità del tempo cui abbiamo già accennato). Le epoche sono quattro (Satya, Treta, Dvapara, Kali) e hanno durata differente (fatta 10 la durata del mahayuga le epoche che lo costituiscono avranno rispettivamente una durata di 4, 3, 2 e 1, l’era kali ne sarà quindi solo un decimo). Dall’originaria era aurea si passa gradualmente a epoche in cui la conoscenza della verità e l’esercizio della giustizia diminuiscono, in cui squilibri crescenti portano a una perdita di ordine, a una disarmonia che riguarda sia il cosmo che i molteplici aspetti della vita degli uomini.Allo stato attuale, avendo le prime tre ere già compiuto il loro corso, ci troviamo nella quarta e ultima, peraltro in uno stato già avanzato. È l’era kali, l’era oscura in cui il disordine e la disconnessione dal sacro raggiungono i livelli più elevati, facendo regnare incontrastata l’ingiustizia e l’empietà. C’è da dire che tutto ciò che fa parte di quella che comunemente è chiamata ‘storia’ fa parte di quest’ultima era, in quanto le cesure epocali che hanno posto fine alle epoche precedenti hanno anche cancellato o reso illeggibile in maniera (quasi) totale ogni tipo di vestigia materiale (indicazioni valide per l’interpretazione rimangono quelle forniteci da miti e leggende). C’è anche la possibilità di un ritorno allo spirito tradizionale, che può manifestarsi sotto forma di civiltà (come quella medioevale) che si reggono su di un ordine informato ai valori del sacro […]
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