Eroicamente servire: l’esempio più forte

da Mario Polia

Nell’etimo greco di ‘eroe’ è implicita l’idea di ‘servizio’: alla lettera, ērōs significa ‘protettore’ ed è morfologicamente affine al latino servare: ‘preservare’, ‘custodire’, ‘salvare’; in secondo luogo significa ‘forte nel combattimento’, ‘nobile’, ‘eroe’. Con la generosità che lo spinge fino al sacrificio della propria persona l’eroe protegge i più deboli, i commilitoni che non hanno il suo stesso valore. Protegge la società cui appartiene e i suoi valori: la fede religiosa, le leggi, la tradizione e i costumi. In greco, laós è il ‘popolo-nazione’ in possesso di un’identità culturale; dēmos è la ‘moltitudine’, la massa. L’eroe difende entrambi, ma per sua natura esprime in massimo grado i valori condivisi che fanno del popolo una nazione. E il popolo riconosce nell’eroe la sua espressione ideale. L’eroe vive nel cuore della sua gente e dal suo cuore continua nei secoli ad agire come potenza germinante. Come seme nella terra feconda.

In altre culture la via dell’azione è concepita come servizio: in Giappone, dei due grafemi che compongono l’ideogramma bu, ‘militare’, uno rappresenta l’alabarda, l’altro ‒ tomaru ‒ significa ‘fermare’: ‘alabarda che ferma’, che protegge; bu-shi è l’uomo che usa l’alabarda per fermare e proteggere. Bu-shi-dō, la ‘via del guerriero’, usa la forza per fermare i nemici esterni e impiega la pratica della disciplina per vincere i nemici che s’annidano nella persona. Tomaru, riferito al controllo dei propri istinti e delle passioni, consiste nella realizzazione di uno stato dell’essere che trascende spazio e tempo, le coordinate cui la materia signata quantitate soggiace ma dalle quali lo spirito prescinde. Immune dal tempo, lo spirito agisce nel tempo trasformando l’uomo e la storia. La via dell’azione è servizio, come lo è il dharma dell’asceta. Lo Svegliato non serba per sé i frutti della sua sofferta ascesi, bensì insegna a percorrere il cammino che conduce la coscienza, travolta dai gorghi della sofferenza e delle passioni, al Risveglio. E colui che segue le orme dello Svegliato, il bodhisattwa, fa voto di non raggiungere il nirvaṇa fino a quando l’ultimo filo d’erba non abbia raggiunto il Risveglio. 

Nella Bhagavad Gīta, che svela le valenze metafisiche della Via dell’azione, il requisito essenziale perché mediante l’azione si realizzi l’integrazione della persona con l’Assoluto è la purezza del cuore. La capacità di fare ciò che deve essere fatto senza attendere ricompense materiali, potere, onori, restando immuni dall’orgoglio. Ricavare profitto è da mercanti, l’eroe agisce perché il prossimo ricavi profitto dal suo sacrificio. Offre sé stesso al di là di se stesso. Nel compimento del dharma l’agire diventa non-agire: azione libera e liberatrice. Il movimento scaturisce dalla quiete dell’anima senza turbarla. Come il Motore Immobile governa il cosmo senza essere implicato nei cicli delle esistenze, così chi è divenuto motore immobile del proprio microcosmo, porta a compimento l’azione secondo giustizia senza essere coinvolto nei risultati. Docile strumento nelle mani della Volontà cui ha affidato l’esito della sua battaglia, l’eroe attribuisce a essa il merito della vittoria. Certo di aver compiuto il proprio dovere, accetta la sconfitta come prova. Se invece la sconfitta è dipesa dai suoi errori, li riconosce lealmente, fa tesoro dell’esperienza per non cadere in futuro nei medesimi errori, quindi procede verso la meta. 

Tra i Germani, per ottenere la conoscenza ‒ il corno della ‘bevanda del ricordo’ offerto dalla Valkyria ‒ l’eroe deve vincere in singolar tenzone il drago, simbolo della brama d’oro e potere. Il danese Beowulf combatte contro il drago e l’uccide rimanendo ferito. Fedele al voto formulato ancor prima di accingersi alla tenzone, ormai prossimo alla morte, ordina al nobile giovane che ha combattuto al suo fianco di impiegare fino all’ultima oncia del tesoro per il bene dei suoi sudditi.

Nelle culture precolombiane che praticavano il sacrificio umano, alla vittima era affidato il ruolo di ‘messaggero’: offrendo la propria vita, diventava degna di presentare agli dèi le richieste del suo popolo. La morte di uno per la vita di molti. 

Compiendo il suo servizio, l’eroe assurge al rango di ‘personalità liminare’: ha trasceso il limes, la barriera dell’io, del tempo, dell’appartenenza geografica, razziale e culturale. Varcata la soglia che separa i due mondi, continua a vivere. I suoi insegnamenti, le lodi delle sue gesta sono tradotti in lingue diverse da quella che fu la sua, destinati a popoli diversi da quello cui appartenne. Gli esempi luminosi di maestri di virtù ispirano gli artisti e dal verso, dalla tela e dal marmo continuano ad agire. Svincolata dalle spire del tempo, la memoria dell’eroe continua a ispirare i cuori che conoscono «virtù d’amore», li esorta a scalare la limpida vetta lontana. Li sfida a trasformare l’esistenza in verità e bellezza. In inno di lode all’Altissimo che volle riflettere il suo volto nel cuore della creatura e nelle sue carni infuse il richiamo dell’eterno […]

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