A ciascuno i propri eroi

da Il Dispaccio

Il nemico sa molto bene che gli eroi classici sono i primi riferimenti per la vera rivolta contro il mondo moderno, ma sembra conoscere ancora meglio l’importanza dei modelli educativi trasmessi dai cartoni animati.

Obiettivamente, quanti di noi non hanno appreso un po’ di eroismo, oltre che da Ulisse, Ettore ed Enea, da ‘I Cavalieri dello Zodiaco’, ‘Ken il guerriero’ o ‘Dragon Ball’?

Nel passaggio dall’infanzia all’adolescenza, alle scuole elementari, quali erano gli argomenti? L’ultima puntata del proprio cartone preferito, difficilmente l’Odissea.

Poco male: pur con meno riferimenti ai maiores, il sacrificio, il coraggio e l’appartenenza erano centrali; c’era sempre il pianeta da salvare, gli amici da difendere e un duro lavoro su se stessi: i più giovani crescevano con i temi dell’epica, in un tempo in cui la letteratura era sempre meno di moda. 

D’altronde, molti cartoni animati giapponesi prendono spunto dall’epica e dalla mitologia: ‘Dragon Ball’ dal classico cinese ‘Il viaggio in Occidente’, ‘I Cavalieri dello Zodiaco’ dalle mitologie occidentali.

Ma non era necessario andare fino in Oriente: anche la Disney – oggi al servizio dell’Avversario – proponeva modelli positivi: tra tutti, ‘Il Re Leone’, in cui la restaurazione della regalità tramite un percorso di conoscenza di sé riecheggia l’epica cavalleresca, contro l’individualismo e la vita alla giornata. Diversamente, i suoi ultimi lavori sono opere di propaganda a tema gender: la fatina di ‘Cenerentola’ LGBT e BLM, Jasmine di ‘Aladdin’ femminista o, ancora, Elsa di ‘Frozen’, la cui identità è volutamente indefinita.

La sovversione ci sa fare e, senza alcuna remora, il lavoro già iniziato a danno dei giovanissimi, viene concluso presentando agli adolescenti, negli anni critici della definizione dell’identità, un Loki gender-fluid, il primo Capitan America omosessuale, la bisessuale Harley Quinn e il pansessuale Deadpool.

Inoltre, in piena coerenza con il loro (non)essere, questi personaggi non combattono alcuna vera battaglia. Ma d’altronde, come insegna la storia, l’uomo ‘fluido’ che battaglie può combattere? Le battaglie per piangersi addosso, quelle per ‘essere come sono, senza vergogna’ anche se sei un vile, quelle per ‘essere fieri dei propri limiti’. Insomma, l’orgoglio – il pride, come dicono quelli alla moda – dell’essere mediocre e insulso.

Sono dunque persi e lontani – relegati su televisioni locali e fumetti da antologia – quei supereroi che insegnavano a difendere le donne, fino alla morte, a liberare il debole e vessato dal prepotente, senza paura. Quei supereroi che ci facevano brandire il mestolo della cucina di mamma, indossare lo scolapasta a mo’ di elmo e lanciare la nostra sfida senza paura ai nemici della terra. Armature scintillanti, spade affilate e un dovere da compiere: l’immaginario era completo per i piccoli aspiranti eroi.

Ma, lo sappiamo, la promiscuità è tipica delle fasi terminali di ogni civiltà, così è stato nell’Impero Romano d’Occidente e nelle poleis greche, ed è altrettanto vero che nelle società tradizionali, in cui la sessualità e l’identità erano sublimate, l’uomo ha espresso grandezza e luminosità: la contemplazione ha trovato le sue vette, gli uomini d’azione hanno fecondato la storia col loro coraggio, artisti e costruttori davano forma alla lode all’Altissimo.

La sessualità repressa degenera in violenza, sublimata sboccia in eroismo: dall’eros all’eroe. Ma la sessualità dissipata consuma l’uomo e lo rende incapace della rivoluzione: nel ‘68, con gli inganni della ‘rivoluzione psichedelica’ e della ‘rivoluzione sessuale’, sono stati sviliti gli slanci della gioventù. Della prima oggi raccogliamo i frutti marci, ma la seconda sembra essere solamente appena cominciata, avverando quanto, fino a poco fa, sembrava impensabile […]

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