Nella prima metà del ‘900, Ezra Pound affermò che facendo dono all’Europa del Confucianesimo avrebbe fornito al ‘Vecchio Continente’ una filosofia capace di ricostruire e sostenere un impero. Non solo, Pound arrivò addirittura ad affermare che «per magnifico intuito» Benito Mussolini e Adolf Hitler stessero seguendo la dottrina del grande pensatore cinese.
Il Confucianesimo, prima di essere dottrina, è progettualità sociale: nello specifico, offre allo Stato la base dell’armonia politica. Dal 1949 in poi, la Repubblica Popolare di Cina ha mantenuto un rapporto assai ambiguo con la sua ingombrante eredità. Mao lo criticò come pensiero feudale. Tuttavia, ne rimase profondamente influenzato affermando la necessità del suo studio nella consapevolezza che per guardare al futuro sia necessario in primo luogo volgersi al passato e studiare la storia.
A prescindere da un rapporto piuttosto complesso, il Confucianesimo – che piaccia o meno – ha continuato a rappresentare il sostrato culturale alla base del governo del PCC. Di fatto, l’ordine cinese attuale ha il suo fondamento in uno dei pilastri del Confucianesimo: il rispetto della gerarchia, di un’autorità che si esercita dall’alto verso il basso, sebbene in nome dell’armonia sociale, del benessere collettivo e della protezione della famiglia. La selezione della classe dirigente avviene attraverso metodi confuciani e la rappresentazione storica della stessa viene suddivisa in termini generazionali, con il primato degli anziani sui giovani. Così, la generazione dei veterani della Lunga Marcia (Mao, Zhu De, Zhou Enlai) viene seguita da quella degli ufficiali della guerra sino-giapponese e della guerra contro il Kuomintang (Deng Xiaoping); questa è seguita dai quadri della trasformazione socialista (Jiang Zemin), dai figli della Rivoluzione Culturale (Hu Jintao) e, infine, dagli intellettuali che negli anni ’70 si sono impegnati nella campagna di educazione tramite il lavoro (Xi Jinping).
A sua volta, la storia della Cina sotto il governo del Partito Comunista Cinese viene divisa in tre fasi: ‘levarsi in piedi’ (1949-1978), ‘accrescere la prosperità’ (1978-2012), ‘diventare forti’ (dal 2012 ai giorni nostri). Quest’ultima fase corrisponde con l’ascesa al potere della figura di Xi Jinping; colui che più di ogni altro ha cercato di incarnare la figura del junzi confuciano, l’uomo dedito alla coltivazione della virtù. Proprio sotto la sua guida i principi confuciani hanno conosciuto una rinnovata fortuna. Afferma Xi: «La cultura tradizionale cinese è sia ampia che profonda e l’apprendimento e l’acquisizione delle sue varie idee è benefico per la formazione di una corretta visione del mondo, visione della vita e senso dei valori. I nostri antenati hanno affermato che le nostre aspirazioni dovrebbero essere le seguenti: in politica, essere i primi a preoccuparsi degli affari dello Stato e gli ultimi a divertirsi; come patrioti, non osare ignorare il pericolo del Paese, non importa quanto umile possa essere la propria posizione, e fare tutto il possibile per salvare il Paese quando è in pericolo senza riguardo alla buona o cattiva sorte personale; sull’integrità, non essere mai corrotti dalla fama e dalla fortuna, non allontanarsi mai dai principi nonostante la povertà e la provenienza da origini umili, e mai sottomettersi alla forza e alle minacce; sulla dedizione disinteressata, morire con un cuore leale che brilla nelle pagine della storia e dare fino all’ultimo battito del cuore. Tutti questi detti riflettono le belle tradizioni e lo spirito della Nazione cinese. Dovremmo tenerli in vita e svilupparli ulteriormente» (‘Gli adagi di Xi Jinping’, Anteo Edizioni 2021).
Si rende necessario raccontare le ragioni del successo del Partito Comunista in Cina. Carl Schmitt, nel suo ‘Teoria del partigiano’, sottolinea il carattere puramente ‘tellurico’ del volkskrieg (guerra di popolo) maoista, dato dal fatto che Mao Tse Tung avrebbe ulteriormente sublimato le teorie leniniste sulla guerra rivoluzionaria: solo la guerra rivoluzionaria è una guerra reale perché si combatte contro un ‘nemico assoluto’, la classe capitalista. E la guerra contro un nemico assoluto non conosce forme di contenimento: questa idea di ‘nemico assoluto’ – ‘estremizzazione del concetto del politico come dicotomia amico/nemico – pose Lenin in una posizione di maggiore interesse e rilievo agli occhi di Schmitt rispetto al resto dei pensatori marxisti. Tuttavia, la rivoluzione maoista avrebbe un carattere maggiormente tellurico rispetto all’Ottobre bolscevico in quanto l’avanguardia comunista che prese il potere in Russia nel 1917 era differente sotto ogni aspetto in confronto ai comunisti cinesi che presero il potere nel 1949 dopo oltre venti anni di guerra, sia nella struttura interna dei Partiti (i bolscevichi erano una minoranza e, salvo rare eccezioni, di estrazione piccolo-borghese), sia nella diversa relazione con il suolo e il popolo (solo Stalin ristabilirà una concreta relazione tra Partito, popolo e suolo in Unione Sovietica). Mao e i vertici comunisti cinesi, infatti, erano espressione concreta del popolo e del suolo cinese. La guerra popolare contro il nemico interno (il Kuomintang) ed esterno (il Giappone) e la potenza evocativa di un evento come la ‘Lunga Marcia’ del 1934 determinarono il radicamento del Partito con il suolo cinese. Mao stesso, a questo proposito, parlò del concetto di ‘Nazione armata’, che, riprendendo il concetto di Friedrich Ratzel dello Stato come tutto organico, nasceva dall’identificazione dell’Esercito popolare e dei partigiani come le due braccia del medesimo corpo […]
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