C’è un tema, più precisamente uno spauracchio, che aleggia negli ambienti della Destra cosiddetta ‘non conformista’, fin dagli albori della storia repubblicana. Sto parlando dell’egemonia culturale che la Sinistra esercita da quasi un secolo nel nostro Paese. Una questione fastidiosa, che solo a rievocarla provoca attacchi di nausea per tutta una serie di valide ragioni. La prima è che questa egemonia c’è stata per davvero e in buona parte resiste ancora. È crollato il muro di Berlino, sono implose le ideologie, s’è eclissato ogni orizzonte metapolitico e fideistico (persino il Papa parla più di migranti e coppie di fatto che di Nostro Signore) ma l’esclusione quasi totale dal mainstream di contenuti culturali riconducibili all’universo della destra identitaria, sembra essere l’unica incrollabile certezza di questo curioso Paese.
E la cosa peggiore è che le vittime di questa brutale ghettizzazione, di questa conventio ad excludendum, non solo ci hanno in molti casi sguazzato, ma sono arrivate, talvolta, a dare un contributo attivo affinché tale stato di cose si determinasse. Sembra incredibile eppure, posso garantirvi che questa specie di sindrome di Stoccolma s’è fatta largo a Destra per decenni, contagiando una buona parte degli intellettuali di area che alla fine si ritrovavano a ‘innamorarsi della propria sfiga’, per dirla con una felice espressione di Pietrangelo Buttafuoco. Tradotto: meglio rinchiudersi in un ghetto a fare del vittimismo, piuttosto che assumersi il rischio di navigare in mare aperto. Pochi sono quelli che ce l’hanno fatta, ma spesso anche loro hanno contribuito a cristallizzare invece che scardinare lo stato di cose. Infatti, piuttosto che fare squadra cercando di promuovere al grande pubblico autori e contenuti costitutivi del proprio bagaglio culturale (spesso caratterizzati da originalità e grande fermento intellettuale: penso alla stagione rautiana di ‘Linea’ penso a Marco Tarchi, Stenio Solinas e ‘La voce della fogna’, penso ad Adriano Romualdi, a Tommaso Staiti di Cuddia, a Beppe Niccolai, a Gianna Preda, solo per citare i primi che mi vengono in mente), questi pochi eletti cooptati dal mainstream si sono prestati a giocare l’umiliante ruolo folkloristico dei dannati di successo. Un ruolo ancora una volta strumentale alle logiche del pensiero conformista. Quando poi la Destra ha raggiunto, per una congiuntura accidentale della storia, il governo del Paese, la situazione si è fatta ancora più surreale, persino involontariamente comica. Perché a quel punto gli operatori culturali dell’area non conformista dovevano temere più quei funzionari che arrivavano dalla sponda ‘amica’ (timorosi di essere accusati di diffondere idee marchiate con la lettera scarlatta), che gli interlocutori dichiaratamente di Sinistra. Ergo, la ghettizzazione diventava doppia. Una sorta di autocertificazione istituzionale della marginalità che dimostra, per usare un eufemismo, che a Destra la lezione di Gramsci non ha lasciato la benché minima traccia. Un disastro completo dunque? Non del tutto. Perché se fino a qualche decennio fa queste riflessioni ci sembravano fondamentali, oggi esiste una minaccia rispetto alla quale il problema dell’egemonia culturale della Sinistra e quello della sindrome di Stoccolma della Destra, diventa addirittura trascurabile […]
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