Apologia della censura

da Enzo Iurato

Già in un vecchio numero della rivista Heliodromos (n. 22, 21 Aprile 2010) ricordavamo le significative parole pronunciate nel discorso tenuto all’Università di Harvard l’8 giugno del 1978 dallo scrittore russo Solženicyn, a proposito del singolare concetto di libertà affermatosi nel moderno Occidente, al quale il premio Nobel contrapponeva l’idea che a contare avrebbe  dovuto essere, semmai, la libertà di fare il bene, ma «la società si è rivelata scarsamente difesa contro gli abissi del decadimento umano, per esempio contro l’utilizzazione delle libertà per esercitare una violenza morale sulla gioventù: si pretende che il fatto di poter proporre film pieni di pornografia, di crimini o di satanismo costituisca anch’esso una libertà». 

Solženicyn in quel suo discorso accusava in particolare il ruolo svolto dalla stampa, nella cui categoria egli comprendeva i mass media in generale, che concorrono in modo determinante alla diffusione della superficialità delle coscienze e all’inconsistenza morale delle società democratiche: «La stampa ha il potere di contraffare l’opinione pubblica e anche quello di pervertirla (…) “Tutti hanno il diritto di sapere tutto” (slogan menzognero per un secolo di menzogna, perché assai al di sopra di questo diritto ce n’è un altro, perduto oggigiorno: il diritto per l’uomo di non sapere, di non ingombrare la sua anima divina di pettegolezzi, chiacchiere, oziose futilità. Chi lavora veramente, chi ha la vita colma, non ha affatto bisogno di questo fiume pletorico di informazioni abbrutenti)».

Quanto espresso dal grande scrittore russo rimanda a un comune modo di sentire che possiamo genericamente definire antimoderno; e, di conseguenza, ricollegabile anche con l’accusa rivolta al Fascismo – la più infamante, si direbbe, per la melodrammatica enfasi utilizzata nel formularla – della censura da esso applicata sui mezzi d’informazione dell’epoca. Si è sempre dato per scontato che il controllo fascista sulla stampa mirasse a prevenire qualunque possibile opposizione al regime e a reprimere ogni dissenso. L’idea che lo si potesse fare, invece, per salvaguardare, proteggere e tutelare la società dell’epoca dalla ‘perversione’ cui alludeva Solženicyn, non sfiora nemmeno le candide menti democratiche! L’evitare, per esempio, la descrizione morbosa e approfondita di efferati delitti e di tragiche vicende della cronaca nera risultava più funzionale a una simile esigenza, piuttosto che a quella di non esporre a una ‘brutta figura’ lo stesso Mussolini. 

A conferma, poi, del fatto che pudore, decenza e compostezza, prima che appartenere a un determinato sistema politico, fossero propri di un tipo umano sano e di una realtà sociale non ancora del tutto disintegrata, ce lo dimostra il fatto che anche nel secondo dopoguerra si continuarono a considerare utili e necessari certi vincoli e limiti morali; come avveniva, per esempio, nella gestione democristiana della televisione di Stato, cioè la Rai. Sono diventati non per nulla proverbiali certi provvedimenti censori improntati al più ottuso bigottismo, presi da dirigenti televisivi privi del senso del ridicolo e succubi in fondo di una mentalità piccolo borghese. Venne poi il Sessantotto a spazzare via tutto quanto, rimuovendo in modo indiscriminato la muffa e il pulito, l’anacronistico e il duraturo […]

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