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da Enrica Perucchietti

Negli ultimi due anni la paura di ammalarsi, alimentata dal terrorismo mediatico, ha indotto nell’opinione pubblica l’idea che si debba per forza scegliere tra salute e libertà per poter tornare a sentirsi ‘sicuri’. Si è convinta la popolazione della necessità di cedere libertà, privacy, diritti fondamentali, mostrando una cieca e passiva obbedienza nei confronti dell’autorità. In un clima di psicosi collettiva, la minaccia alla salute ha spinto le persone a sacrificare tutto, accettando limitazioni della libertà che non si erano mai sognate di poter tollerare prima.

I governi fin dall’inizio hanno ricordato a spron battuto che la guerra al virus avrebbe segnato l’inizio di una nuova epoca storica, nella quale nulla sarebbe più stato come prima. La ‘nuova normalità’ indotta dalla tecnocrazia passa anche attraverso un processo di sorveglianza digitale. Questa forma di dispotismo tecno-sanitario ha trasmesso l’idea che, grazie alla propaganda vaccinale, per riaprire le attività economiche e culturali fosse necessaria l’introduzione del green pass: senza si sarebbe rischiato il collasso dell’economia e di rimanere in un immobilismo sociale, spettatori passivi dei lockdown e delle restrizioni a corrente alternata. 

Il certificato verde, lungi dall’essere una misura sanitaria, è una discriminazione e ha due scopi ben precisi. In primis, quello di spingere i cittadini obtorto collo a farsi vaccinare: è l’escamotage con cui il governo, in assenza di obbligo vaccinale, punta attraverso il ricatto a far vaccinare più gente possibile, discriminando milioni di cittadini sani e portando alla costituzione di caste sanitarie. 

In secundis, il lasciapassare verde sta abituando i cittadini ad accettare misure sempre più invasive di controllo e sorveglianza tecnologica che spianeranno la strada in un prossimo futuro a un sistema di credito sociale. Ci troviamo infatti di fronte a una nuova forma di ‘schedatura’ di massa che riecheggia periodi oscuri del nostro recente passato. Come ha ben osservato Giorgio Agamben, il cittadino non tesserato sarà, paradossalmente, più libero di colui che ne è munito e a protestare e a ribellarsi dovrebbe essere proprio la massa dei tesserati, che sono censiti, sorvegliati e controllati in una misura che non ha precedenti neppure nei regimi più totalitari. 

A differenza del Panopticon ideato nel 1791 dal filosofo e giurista Jeremy Bentham, infatti, oggi il controllo non viene più esercitato su un numero limitato di persone (i prigionieri), ma è esteso a tutti, in quanto i dispositivi di controllo tendono a convergere in database centralizzati, dando vita a quel fenomeno che Shoshana Zuboff ha battezzato il ‘capitalismo della sorveglianza’ (S. Zuboff, ‘Il capitalismo della sorveglianza. Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri’, Roma, 2019). Il capitalismo della sorveglianza, scrive Zuboff, «si appropria dell’esperienza umana usandola come materia prima da trasformare in dati sui comportamenti». Gli algoritmi vengono utilizzati «per vaticinare cosa faremo immediatamente tra poco e tra molto tempo» dando vita a un «mercato dei comportamenti futuri» […]

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