Alle generazioni attuali è dato il destino di assistere alla fine degli Stati nazionali. Entità globali ne hanno già preso il posto, ormai da qualche lustro. In Europa, questo processo si è completato con il definitivo abbandono dell’ipotesi di sottoporre ai cittadini l’approvazione di una carta costituzionale che sancisca la nascita di un nuovo soggetto politico continentale. Com’è noto, con il Trattato di Lisbona del 2007, l’Unione Europea si è dotata di un surrogato di costituzione con cui dirigere le politiche degli Stati membri. Con la Banca Centrale Europea, poi, viene diretta la politica monetaria, anch’essa sottratta alle decisioni dei governi nazionali. La cosiddetta ‘cessione di sovranità’ è, quindi, compiuta. Che ne è, allora, dello Stato nazionale? Lo Stato, reso possibile dal ‘cammino di Dio nel mondo’ (Hegel, ‘Lezioni di filosofia del Diritto’, 1825), è ancora la sintesi di tutti gli elementi distintivi di un popolo elevati al loro massimo grado di espressione? Può essere concepito, infine, come la sistemazione, ancorché temporanea, di un patto implicito tra individui, che delegano i poteri con cui prevaricherebbero i loro simili? Una risposta a questi interrogativi non può prescindere da un’analisi di ciò che lo Stato era rispetto a ciò che è diventato a seguito di una serie di crisi e trasformazioni, che ne hanno contrassegnato lo sviluppo.
Dal basso Medioevo alle prime fasi della modernità, lo Stato ha assunto una fisionomia identificabile con le monarchie per diritto divino, che hanno via via condizionato l’assetto economico e sociale europeo, provocando la crisi del feudalesimo e la nascita dell’assolutismo. La religione cristiana si è posta sovente la questione della natura del potere, sintetizzandola, dapprima, nel principio paolino dell’omnis potestas a Deo. La dimensione imperiale romana aveva posto l’essenza dello Stato al di là della componente nazionale, avendo Roma identificato lo Stato con le leggi che lo sostanziano. Questo processo non fu connaturato alla città capitolina, ma intervenne quale esito di un processo di secolare contrapposizione tra patrizi e plebei. Tuttavia, la graduale immissione dei popoli germanici nell’esercito ebbe come prima e più importante conseguenza l’emersione delle componenti nazionali, che si imposero definitivamente quando le strutture militari e politiche della pars occidentalis cedettero. Non è stato più possibile ritornare a una dimensione imperiale se non dopo qualche secolo, con Carlo Magno, ma, già alla morte di questi, le nazionalità europee ripresero il loro ruolo determinante nella politica continentale, mentre nella pars orientalis non si metteva in discussione la natura imperiale dello Stato. Con il passaggio definitivo della dignità imperiale agli Ottoni, l’impero stesso acquisì un carattere nazionale, diventando di fatto ‘germanico’ […]
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