Dall’8 gennaio 2021 Antonio Medrano ha lasciato questo mondo per proseguire più in alto il suo percorso. A noi che restiamo qui, ad affrontare le sfide che il mondo moderno ci pone dinnanzi, è di essenziale supporto l’insegnamento che Antonio ha consegnato nelle nostre mani. Dunque, riportiamo un lucido e intenso estratto da ‘La Via dell’Azione. L’agire giusto e corretto di fronte al disordine attivistico’ pubblicato da Cinabro Edizioni.
Perché agiscono gli esseri umani? Perché fanno tutto quello che fanno? Qual è la ragione o il motivo che li spinge all’azione? La risposta è molto semplice: per essere felici; perché sono mossi da un innato desiderio di ottenere la felicità e la beatitudine. Questa è, in ultimo, la ragione di tutti gli atti, grandi o piccoli, sensati o insensati, avveduti o maldestri, benevoli o malevoli, opportuni o meno, che realizzano uomini e donne nel corso della loro vita. Tutti quanti siamo spinti dal medesimo anelito, sebbene molte volte esso si esprima e si orienti in modo errato, scegliendo noi vie e mezzi spesso sbagliati per soddisfarlo; tutti cerchiamo di conseguire uno stato di maggior felicità, benessere e contentezza, e per esso portiamo a termine le azioni e le attività che caratterizzano la nostra esistenza.
Non c’è nessuno che operi per essere infelice o sfortunato, per quanto, di fatto, sia proprio questo che molti ottengono col proprio agire improprio, ingiusto o scorretto. Perciò, l’uomo intelligente si sforzerà di adeguare le sue azioni alla norma che gli permette di raggiungere nel modo più sicuro possibile questo obbiettivo desiderato. Cercherà di scoprire qual è il comportamento più adatto per esso; vale a dire, quali sono quelle azioni che deve realizzare e qual è il modo corretto di farle. E si applicherà con diligenza e tenacia a mettere in pratica queste conoscenze. Con la sobrietà e il rigore che gli sono propri, Jaime Balmes seppe plasmare tutte queste idee in una sintetica formula, enumerando i tre fattori determinanti nella vita umana; tre fattori che si suole ignorare, così come si ignora la relazione esistente tra loro. Secondo il filosofo catalano, questi tre fattori sono: l’intelligenza, che è «la luce che guida»; la morale, che è «la legge che ordina e armonizza»; e la felicità, che è «il fine e il premio». E dove Balmes dice «morale», possiamo intendere «criterio della retta azione» o «norma che regge l’azione e il comportamento», poiché, come vedremo anche più avanti, sebbene la via della retta azione oltrepassi i limiti della morale così come questa normalmente viene intesa, potrebbe essere considerata una norma morale, giacché si tratta di una morale alta o una morale integrale dalla quale nulla rimane escluso e che comprende aspetti dell’occupazione umana che la morale di solito lascia totalmente fuori. Come criterio basilare, si potrebbe dire che il fine della retta azione non è altro che realizzare la felicità: la felicità propria e quella altrui. Poiché in realtà entrambe le cose, la felicità mia e la felicità del prossimo, sono inseparabili, essendo la seconda condizione della prima: si può essere felici solo facendo felici gli altri. L’obiettivo finale dell’agire umano, oltre alla realizzazione integrale della persona, è contribuire attivamente alla gioia di tutti gli esseri, accrescere la felicità e ridurre il dolore e la sofferenza nel mondo. Con tutto ciò che questo comporta in fatto di adeguamento al piano divino e all’armonia della Creazione. Si può concepire una meta più alta per le nostre azioni che questo realizzare contemporaneamente la nostra felicità personale e la felicità degli altri? Nel suo eccellente saggio sulla felicità, il professor Enrique Rojas afferma che «oggetto della felicità è la realizzazione piena di se stessi», il che si concretizza in due punti capitali: «aver trovato la propria personalità» e «realizzare il progetto e il programma in cui la vita consiste». La vita felice, secondo Rojas, si basa sulla conoscenza e l’amore: con la prima, «ci dirigiamo in maniera intelligente», e con la seconda, «andiamo verso ciò che è buono». La chiave di tutto sta, dunque, nel fare bene le cose, nell’agire sensatamente, cercando tanto il bene proprio quanto quello altrui. Sarà felice chi attua con generosità, con coerenza e fedeltà ai propri principi, partendo «da un corretto giudizio di se stessi e di ciò che ci circonda, giacché nessuno può essere felice fuori dalla verità». Nella retta azione sta il fondamento e la chiave della felicità. Meglio ancora, la retta azione è la felicità stessa; in quanto, coincidendo la felicità con il bene, ed essendo il bene il fine a cui l’azione corretta (o azione buona) tende, il fluido in cui si muove, la sostanza di cui si nutre e il suo frutto naturale, la felicità viene a identificarsi col retto agire. La felicità consiste nella realizzazione delle più alte possibilità latenti nell’essere umano, nella sua perfezione e completamento come persona o essere spirituale. E la realizzazione delle sue più alte possibilità, la perfezione e completezza del suo essere costituiscono precisamente la meta della retta azione. Per questo Aristotele sosteneva che «la felicità è l’attività conforme alla virtù». La felicità non è solo il fine o il frutto del fare bene; la felicità consiste proprio in questo stesso fare il bene. La retta azione ha in se stessa la propria ricompensa, come indicarono Seneca e Boezio. E questa ricompensa non è altro che il vivere felici, la gioia del vivere bene che espande l’anima dell’uomo, il piacere di vedere che la nostra vita e la vita dei nostri si riempie dei doni più preziosi, portati dal fare bene o operare bene. Così lo esprime Swami Prajnanpad, uno dei più autorevoli esponenti del Adhyatma-Yoga di questo secolo: «La felicità non è qualcosa che debba essere cercato. È il risultato dell’adottare la retta azione. Se hai fatto tutto ciò che era nelle tue possibilità (il che è sempre relativo), ti sarai realizzato e non potrai non essere felice». E San Bernardo, oltre a proclamare che l’uomo saggio è giusto e opera con giustizia, tanto nei suoi pensieri, quanto nelle sue parole e nei suoi atti, qualifica come «agricoltura di Dio» la sapienza che ispira questo retto e giusto agire dell’uomo saggio. Un’agricoltura divina grazie alla quale l’essere umano può coltivare con arte e maestria la vigna della sua vita, per ottenerne «il mosto dell’opera buona» e «il vino della gioia spirituale».
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