Fino al 2020, nell’ambito delle scienze sociali, l’epoca in cui stiamo vivendo è stata denominata in vari modi. Qualcuno l’ha definita l”era della trasparenza’, qualcun altro ha parlato di ‘età della condivisione’. Prima della pandemia da Covid-19 era infatti opinione diffusa che l’emergere di nuovi strumenti (come i social network) in grado di mettere in contatto persone dai luoghi più remoti del globo, consentendo loro di condividere i vari momenti della loro vita, fosse primariamente una conquista. Allo stesso modo vi era la sensazione che la condivisione dei dati e la loro sempre maggiore tracciabilità, favorite dalla massiccia diffusione di internet, potessero contribuire a combattere il dilagare, tra le altre cose, di pratiche criminali e corruttive da parte dei funzionari di enti governativi e privati. Condivisione e trasparenza sono, peraltro, concetti che assumono un ruolo di primo piano nell’Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, comparendo più volte e in varie forme all’interno dei 17 obiettivi fissati dall’organizzazione. Visto dalla prospettiva di cui alle righe precedenti, il mondo del futuro potrebbe presentarsi come una sorta di paradiso terrestre, un luogo in cui nessuno, potenzialmente, potrebbe mai delinquere e in cui le distanze tra gli esseri umani verrebbero azzerate da un armonico contesto di condivisione coadiuvato dallo sviluppo inesorabile della tecnica.
La storia, però, ha già dimostrato come le utopie, maneggiate da quella creatura imperfetta che è l’uomo, tendano quasi sempre a tradursi nel loro opposto: scenari distopici in cui un’élite ideologicamente intrisa di propositi palingenetici si trova a imporre con la forza i cambiamenti da essa desiderati, con effetti il più delle volte disastrosi. Qualche timore, relativamente allo strapotere che l’umanità stava consegnando ai giganti della web economy, era già emerso nell’ultimo decennio: la possibilità offerta alle multinazionali dagli stessi utenti di motori di ricerca e piattaforme social di profilare e controllare in maniera sempre più dettagliata le loro preferenze e i loro interessi per finalità di marketing aveva già fatto scaturire qualche (timido) grido d’allarme. In ambito mainstream, il testo-simbolo di questi timori è ‘Il capitalismo della sorveglianza’, opera del 2019 dell’accademica statunitense Shoshana Zuboff, che metteva in guardia dalla dittatura degli algoritmi, capaci di prevedere e indirizzare il comportamento dei cittadini-consumatori globali. Solo nel 2020, con l’avvento del coronavirus, è tuttavia arrivato il definitivo salto di consapevolezza sul lato oscuro della rete. Mentre i lockdown imposti dai governi di tutto il mondo per contrastare la diffusione del SARS-CoV-2 costringevano le persone a chiudersi in casa, portando al collasso diversi settori dell’economia tradizionale come il commercio al dettaglio e impoverendo gran parte della popolazione, i signori del web (di fatto gli unici a poter operare durante le chiusure in un contesto, ciascuno per il proprio ambito specifico, di quasi monopolio) si arricchivano enormemente. Questo ha generato un’ulteriore crescita del divario sociale che decenni di politiche liberiste caldeggiate dagli economisti occidentali avevano già abbondantemente favorito: secondo il rapporto ‘La pandemia della disuguaglianza’, pubblicato lo scorso gennaio dall’Oxfam (Oxford Committee for Famine Relief), dall’inizio dell’emergenza Covid-19, ogni 26 ore un nuovo miliardario si è unito a un circolo esclusivo composto da oltre 2.600 super-ricchi le cui fortune sono aumentate, complessivamente, di ben 5mila miliardi di dollari nel periodo compreso tra il mese di marzo del 2020 e il mese di dicembre del 2021. I primi 10 nella classifica di questi super-ricchi, sempre secondo il rapporto Oxfam, possiedono, dopo la pandemia, un patrimonio equivalente a quello dei 3,1 miliardi di esseri umani più poveri della Terra, avendo visto aumentare le proprie fortune al ritmo di 15mila dollari al secondo nel periodo pandemico. Come già detto, tra questi ‘paperoni’ vi sono soprattutto i big dell’hi-tech: solo per Jeff Bezos, patron di Amazon, il ‘surplus patrimoniale’, durante la crisi pandemica, è stato di 81,5 miliardi di dollari […]
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