L’UCRAINA DELL’UTERO IN AFFITTO: IL “SUPERMERCATO DEI BAMBINI” DI CUI NESSUNO PARLA

da Chiara Soldani

“Piovono bombe” e pullulano, i morti. I notiziari, ci riportano le immagini spettrali delle città ormai fantasma. I palazzi, quasi tutti resi scheletri o poco più. Ed i salotti pomeridiani sfoderano conduzioni piagnucolanti: con una teatralità che nulla restituisce alla dignità di un popolo in guerra. Le fake news certo non mancano. Ed il tritacarne della narrazione mainstream è azionato alla massima potenza: si fa leva su quella strana “solidarietà bipolare”, che vede l’italiano medio assolutamente prodigo di attenzioni e slanci generosi verso lo straniero, ma dimentico (per esempio) di quei connazionali confinati nelle, tuttora disastrate, zone terremotate. Un racconto pregno di pathos e povero di logos: dagli striscioni casalinghi di “Andrà tutto bene” alle polverose bandiere arcobaleno che implorano un’utopistica “Pace”. Anche la losca macchina delle cooperative sociali ha fatto il pieno di ingordigia: gli sciacalli si stanno già leccando i baffi, tanti bei fondi non tarderanno ad arrivare. Ed in questo teatro dell’orrore, telecamere e luci inquadrano esattamente ciò che vogliono, occultando con magistrale strategia gli argomenti più spinosi e scomodi: l’utero in affitto (ai tempi della guerra) è uno di questi. Teneri fagottini umani, commissionati dai ricchi e capricciosi occidentali, vengono sottratti alle bombe e agli onori della cronaca: un doppiopesismo cinico e malvagio, li fa retrocedere nella serie B delle vite di cui occuparsi. Ma noi, ovviamente, vi parleremo anche di loro.

IL LATO OSCURO DELL’UCRAINA: IL MERCATO DELL’UTERO IN AFFITTO PIU’ GETTONATO D’EUROPA

Il Paese di cui proprio tutti (incluso chi non sapeva dove fosse ubicata l’Ucraina), stanno parlando è il fulcro nonché snodo cruciale di un mercato che mercifica e commissiona la vita: quello della Gpa (gestazione per altri). L’Ucraina è da anni leader indiscusso nel business dell’utero in affitto. Moltissime le coppie (americane incluse), che si affidano alle potenti cliniche di questo Paese per farsi confezionare “bimbi su misura”: esattamente come un abito personalizzato di alta sartoria. Esempio emblematico è quello della BioTexCom, colosso nel mondo della fecondazione assistita. Sede principale proprio nella capitale Kiev, dalle primissime ore dallo scoppio della guerra ha “trasferito” in un bunker antiatomico fuori Irpin i bambini nati da madri surrogate. Attualmente sono una trentina i piccoli “parcheggiati”, letteralmente, in attesa di essere “consegnati” ai rispettivi committenti (ma si prevede che il numero raggiunga quota 100 a fine marzo). Nel rifugio realizzato ad hoc per preservare questa preziosa “merce”, una squadra composta da 18 tate (la maggior parte delle quali sono donne anziane), accudisce come può queste creature strappate alle vere madri. Nascono, quindi, già da un dramma: essere privati del contatto, dell’odore e delle braccia della propria genitrice è un atto contro ogni buonsenso, contro ogni benevola natura. Ma non c’è spazio per il cuore, quando si tratta di soldi ed affari: chi si rivolge a BioTexCom o alla New Hope Surrogacy (per esempio), evidentemente non si pone il benché minimo scrupolo etico, affettivo, morale. Il capriccio che si può comodamente soddisfare (a suon di quattrini), prevale su tutto e tutti: così come il cinismo di chi contrattualizza l’utero di una donna, pur di raggiungere (è il caso di dire, ad ogni costo), il proprio bramato obiettivo. Ed è per i prezzi decisamente concorrenziali ed una notevole esperienza nel grottesco mondo della “gestazione per altri” che i più si rivolgono proprio al mercato ucraino: uno dei pochi Paesi che ha legalizzato la pratica dell’utero in affitto e che fa la leva su un già disastrato tessuto economico e sociale. Le donne che affrontano una gravidanza (per i clienti delle apposite cliniche), sono per di più madri di famiglia con figli piccoli da accudire e, soprattutto, sfamare. Accettano condizioni ferree e monitoraggi costanti (con tanto di rigide regole alimentari per preservare la salute del commissionato nascituro). Una donna che, pur portando in grembo per ben 9 mesi un bambino, non può (anzi, non deve) stabilire alcun tipo di rapporto e di contatto. Un mero oggetto, quindi: un “mezzo” indispensabile ma relegato ad un ruolo totalmente marginale (perché, una volta partorito, la mamma in questione deve sparire).

QUEI BAMBINI “PARCHEGGIATI” E DIMENTICATI DAL MONDO

Giusto, sacrosanto e doveroso mettere in salvo quante più vite, quanti più bimbi. Ma questo, dovrebbe valere per tutti: ed invece, assistiamo impotenti all’ennesima discriminazione (subordinata agli interessi del momento). E così, di questi piccoli in balìa di bombe e futuro incerto, non parla e non si occupa nessuno. Ci sono peraltro dei tristi “precedenti illustri”: un’analoga situazione di blocco si era verificata nel primo lockdown targato 2020, con ben 46 neonati lasciati a Kiev nell’hotel Venezia, prima di essere prelevati dai committenti (causa restrizioni). Senza dimenticarci della piccola di soli 16 mesi rifiutata dai “genitori italiani”, poiché avevano cambiato idea (ecco, di capriccio trattasi, appunto). Queste creature nate da un mutuo accordo, da un asettico e disumanizzante contratto a molti zeri, sono pura merce: prodotti generati dalle moderne diavolerie, da un mondo dove al sentimento, si antepone un’ingordigia che sfida persino la natura. Da piccoli, oltre alla storiella carina della cicogna, spesso i nostri genitori (in buona fede!) ci raccontavano di un grande supermercato dove ogni famiglia andava a ritirare, amorevolmente, il proprio bambino: ecco, le macchine ancora non volano ma questo vero e proprio supermarket umano si è tristemente materializzato. E, stavolta, di buonafede, neppure l’ombra…

UN BUSINESS, TANTO CINISMO E MOLTISSIMI SOLDI

Non vi è sentimento, come scritto, ma di certo ci sono soldi e accordi ben pattuiti: in media una madre surrogata incassa 10.000 euro. Perde ogni diritto sul neonato, non appena lo partorisce. Di fatto, incassa la sua somma e sparisce in un “nulla” fatto molto probabilmente di dubbi e dolori. Accettano, perché nella già povera Ucraina, i soldi servivano prima (e figuriamoci ora!). Si sottopongono ad una selezione scrupolosa, dove l’essere madre di almeno un figlio (rigorosamente bello e sano), rappresenta una credenziale di sicuro valore. La chiacchieratissima Kiev “sforna” annualmente tra i 2.000 e 2.500 bimbi, nati da uteri affittati dai ricchi che possono permetterselo. La capitale vanta il mercato più ampio: le cliniche private sono 22, le statali 5. Una fabbrica, la catena di montaggio umana e al contempo disumana: dove piccoli innocenti vengono trattati come un pacco di Amazon o come una cena ordinata su Just Eat. Scelti, realizzati, consegnati. Le uniche vere vittime di questa pratica losca sono loro: i figli commissionati con tanto di impegno (ciò che accade con la BioTexCom, dove si parla persino di “garanzia bimbo in braccio”). Una sorta di “soddisfatti o rimborsati”, il tutto sulla pelle di inconsapevoli martiri. E lo status quo nel quale riversa l’Ucraina, sta scoperchiando questo vaso di Pandora: le famiglie committenti fanno pressing affinché le surrogate partoriscano lontano da luoghi di rischio, disinteressandosi completamente delle loro esigenze di madri e di mogli. Pressioni che ovviamente colpiscono le cliniche cui i clienti si sono rivolti: e la solita BioTexCom, corre (mediaticamente) ai ripari…

LA COMUNICAZIONE SOCIAL ED I VIDEO NEI BUNKER

Nell’era dei social, le pagine del colosso nella maternità surrogata pullulano di post rassicuranti con slogan alla “Stiamo tornando” che suonano più come minaccia: le domande ed i timori sono tanti, ecco allora che BioTexCom corre ai ripari con un video postato su Instagram. “Cari amici – recita il filmato tradotto in diverse lingue – la clinica BioTexCom è pronta a proteggere le madri surrogate, i nostri pazienti e i loro neonati. Non possiamo fornirvi un servizio Vip nel bunker, una cucina da chef e letti morbidi, ma possiamo garantirvi la sicurezza in qualsiasi situazione”. E dopo le rassicurazioni per così dire formali, il video prosegue documentando una “giornata tipo” nel magazzino degli infanti targato BioTexCom. Piccoli stipati in fredde culle di plastica e (per così dire) accuditi da perfette sconosciute. Questa è la “merce più preziosa in Ucraina”: altro che grano, altro che mais…

Questi bambini preconfezionati, sono totalmente ignorati dalla magnanima narrazione mainstream: ed il rischio di finire tra le mani di spietati trafficanti, non è poi così infondato. E il caso, per esempio, di una coppia di cinesi che (sprovvisti di adeguata documentazione), sono riusciti a fuggire con 2 bambini in braccio. Che fine faranno queste vite innocenti? Pare che nessuno, si stia ponendo il suddetto problema: alla faccia della tanto millantata umanità.

PARTORIRE SOTTO LE BOMBE: COSA ACCADE A QUESTE DONNE

La procedura in tempi di guerra è scandita da una tempistica ben precisa: al settimo mese, le surrogate vengono prelevate e trasferite a Kiev (partorire fuori dal confine ucraino, significherebbe essere riconosciute come uniche madri dei rispettivi figli). Immediatamente dopo il parto, i neonati vengono “messi al sicuro” negli appositi bunker: trapela peraltro (come presumibile) che ci siano bimbi commissionati anche da coppie italiane. Ed è in questo scenario spettrale, sotto ogni punto di vista, che le associazioni che si battono contro l’utero in affitto hanno scritto all’Ambasciatore italiano in Ucraina e al ministero degli Esteri per “chiedere di verificare quale sia l’effettivo stato di salute dei neonati, auspicando che nessun permesso speciale in deroga al lockdown venga dato alle coppie che hanno scelto una pratica illegale in Italia”.Una situazione delicatissima, da qualsiasi angolazione la si analizzi e guardi. Bambini sospesi in un limbo, anche giuridico: senza famiglia né nome. Attualmente privi del benché minimo diritto, contesi come un premio a dispetto di tutto e tutti. Assurde e pericolosissime le iniziative di certi folli “genitori”: è il caso di una coppia californiana che è scappata per eludere le bombe, pur di ritirare la “propria” bambina (doppiamente folli!). Gente senza scrupoli: pronta a tutto, pur di raggiungere il proprio egoistico obiettivo.

IL TURISMO DELL’UTERO IN AFFITTO “LOW COST”: GLI ESORDI E L’EVOLUZIONE

Quando progressismo feroce va a braccetto con l’egocentrismo umano, i danni sono più che garantiti: il mondo moderno del quale spesso vi racconto, ci riserva racconti e testimonianze raccapriccianti. E quello del turismo smodato dell’utero in affitto, ne è certamente uno dei peggiori. Ma non è che la punta di un iceberg finora ignorato: questo mondo sommerso si espande da anni, specie negli ultimi sei ha registrato un boom che ha cavalcato l’onda di una profonda recessione. I prezzi offerti ai clienti sono molto al di sotto della media: ben più competitivi rispetto a quelli del mercato statunitense. Ma i cataloghi e servizi offerti dal “supermercato dei bambini”, sono vasti e ben assortiti. Si passa dal pacchetto “classico” a quelli più costosi e blasonati: “Vip” o pacchetto “Premium”, dove si ha persino il privilegio di poter scegliere il sesso del nascituro. Ma le prime vittime sono queste donne: le madri surrogate, povere e sfruttate (a partire dal loro corpo). A far emergere per primo questo problema enorme è stato il britannico Sunday Times:Nel settore della maternità surrogata, la crisi ha anche messo in luce le profonde differenze e disuguaglianze tra le povere donne ucraine che portano i bambini e i ricchi genitori biologici all’estero”. Tanto abbiamo analizzato il caso BioTexCom, ma non tralasciamo le altre realtà molto attive nel settore. Come la Delivering Dreams (già il nome è tutto un programma), che ha prelevato ben 12 gestanti al nono mese per farle poi partorire a Lviv: “Siamo riusciti a consegnarli ai loro familiari, come avevamo programmato”, ha dichiarato il responsabile della struttura sanitaria, Kersch-Kibler. “Questa per noi – ovvero la consegna – era la cosa più importante”. Per la serie “come volevasi dimostrare”! Peraltro, nessuna di queste gettonatissime cliniche era provvista di un piano di emergenza in caso di conflitto bellico. Inoltre, si presenta un ulteriore problema: questi bambini sono apolidi (ovvero senza cittadinanza). Solo per i neonati rimasti in Ucraina soggiace l’applicazione della legge nazionale.

IL CORAGGIO DI ESSERE “FUORI DAL CORO”: CHI DENUNCIA E CHI TACE

Specie quel mondo radical chic che tanto ama questa sovversione dei valori, che tanto promuove la demolizione di princìpi e modelli, si tappa volutamente la bocca e si copre, tempestivamente, gli occhi: come sempre accade, chi dissente viene tacciato di anacronismo e bigottismo cronico. Peccato che proprio chi denuncia e si ribella, abbia a cuore la sola cosa che conta: la vita di questi bambini, in questa atroce vicenda. E allora, spicca la voce controcorrente di ProVita e Famiglia, graffia la penna della storica e docente Lucetta Scarrafia. La giornalista certo non volta lo sguardo altrove: parla di “Ultimo affronto agli innocenti di Ucraina”, mette in luce tutte le fitte ombre di questo marcio mondo. “I poveri bambini dispersi dal mercato degli uteri in affitto in Ucraina…sono vittime della nostra idea utopica di poter piegare la vita come ci pare e piace. Senza tenere conto delle realtà più elementari: sono vittime innocenti dell’Utopia e di una distorta idea dei diritti individuali. Del loro triste destino, siamo tutti noi a portare la responsabilità”.

Parole che non sono, solo, parole: sono un appello consapevole e forte, sono un grido di denuncia e protesta. Un richiamo alla vera umanità, al vero altruismo: lontano da ipocrita sensibilità, da fasullo desiderio d’amore. Chi si appella all’utero in affitto, chi fa della donna uno strumento ben pagato, chi ordina un bimbo (“possibilmente maschio, biondo e con gli occhi azzurro cielo”), non ama affatto la vita e non desidera, affatto, un figlio: brama solo l’appagamento di un cavillo, la risoluzione di un egoistico cruccio. Che di Ucraina si parli pure, sì. Ma con onestà intellettuale e senza strategiche omissioni. Per come potete, per come possiamo, facciamoci sentire e (dis)sentire: salviamo anche questi, di bambini. Non voltiamoli, pure noi, le spalle. E mettiamo in salvo quanto di più forte, profondo e puro questo “mondo moderno” vuole minare e distruggere.

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