8 MARZO: TRA MIMOSE, FRASI FATTE E IPOCRISIE

da Chiara Soldani

“Auguri, Donne! Se voi non ci foste, bisognerebbe inventarvi…Meravigliosa creatura, oggi è la tua festa! Buon 8 marzo, amiche! Viva noi, viva le donne!”. E poi ci sono Zucchero con “Donne, du-du-du” e la fantasmagorica coppia Jo Squillo-Sabrina Salerno: “Siamo donne, oltre alle gambe c’è di più…”. Senza dimenticare, ovviamente il “dolcemente complicate” firmato Fiorella Mannoia e tanto altro. Insomma, tra frasette puerili e scontate ed un nutrito repertorio di tributi musicali, puntuale come un orologio elvetico arriva (in questo già disastrato 2022), l’8 marzo: la “festa della donna”. Ogni anno, la solita minestra riscaldata e ben poco digeribile: tanta l’ipocrisia quanto il riso (imperante) nella cucina giapponese. E molta apparenza, tutta di facciata: come le scatole di latta che ti deludono, perché al posto di custodire fragranti biscotti, contengono il triste kit del cucito. Per non parlare dei social! In questa chiacchieratissima data, pullulano di post sdolcinati e finta (fintissima) sorellanza tutta “cioccolatini e fiori”. Ma del resto, dovremmo per caso stupirci? No, certamente: nel tempo della “realtà virtuale”, del fake a tutto tondo, dell’apparire piuttosto che dell’Essere, non c’è nulla che sorprenda.

LA FESTA DELLA DONNA: L’ORIGINE BEN LONTANA DALLE MODERNE “BALDRACCATE”

Una celebrazione, per così dire, arrugginita. Un po’ come quella bigiotteria che si ossida e puzza: le molteplici declinazioni che interessano l’8 marzo (specie ridicole serate in dozzinali location), nulla riconoscono alle vere origini di questa ricorrenza.

Era il lontanissimo 1911, in una fabbrica tessile di New York. Evidentemente le condizioni di lavoro erano pessime: le operaie (tutte donne), diedero inizio ad uno degli scioperi più epocali di sempre. Vere e proprie barricate che costrinsero i titolari a lasciarle lì, sostanzialmente recluse. Ecco allora che divampa un incendio: ne moriranno 140 ed il resto è storia. Nasce così la “Festa internazionale della donna”, con una risoluzione del 1977 che sanciva l’8 marzo come ricorrenza ufficiale, in memoria di quella “lotta femminile”. Insomma, non proprio una data “petalosa” (vi sblocco un ricordo!). Eppure, non ci si svincola da questa narrazione fatua e cretina: perché la verità non è una frase fatta “alla buona” o un preconfezionato post virale (con baci e cuori di mera circostanza). La verità, sta sempre oltre la fitta nebbia della noncuranza, della superficialità, dell’ipocrisia.

SOLIDARIETÀ FEMMINILE: MA NE SIAMO PROPRIO SICURI?

“Non sono una signora”, per dirla alla Bertè, ma neppure ragazzina: quindi di cose, ne ho viste e soprattutto, sentite. Esattamente come la tanto masticata “solidarietà femminile” o, come direbbero le più eclettiche, la Girl power tutta “triangoli”, polemiche e caos. Credo si tratti principalmente di un mito: un po’ come quello del bellissimo principe azzurro (cavallo bianco, incluso). Infatti, salvo rare, sorprendenti eccezioni, le donne (di tutte le età) fra loro non sono affatto solidali. Ripeto, non tutte! Ma Signori miei, non le vedete anche voi mentre criticano ferocemente “quella o quell’altra”, mentre avanzano calunnie ed illazioni, commenti feroci ed aggressivi, giochetti velenosi e subdoli verso la malcapitata “quella lì”? Scommetto che ne abbiate viste e sentite tante, anche voi. E con questo, non invito ad un buonismo indiscriminato, affatto! Piuttosto, critico e mi dissocio da una solidarietà che, come tutte le cose, andrebbe meritata e non concessa in virtù del politicamente corretto. Essere corrette, quindi, senza essere corrotte.

L’INVOLUZIONE DELLA DONNA: UN “ALTER UOMO”

Proseguendo nella nostra disamina, in una data che non è solo numero ma un corollario di simboli, significanti e significati, non possiamo non rimarcare il totale scollamento dalle reali proteste delle donne e operaie di allora. Non un’evoluzione ma il suo esatto contrario: la festa dell’8 marzo, si macchia di un femminismo sempre più rabbioso, tossico, fatuo. Questa ricorrenza ci ricorda quanto sia e stia degenerando la figura (mediatica e non), della donna. Non una sana rivendicazione del proprio ruolo, delle proprie possibilità: piuttosto, una lotta affannosa e decadente che ci richiama all’eterno insegnamento di Evola (“Tenersi in piedi in un mondo di rovine”). E lo stanno rovinando, il mondo e questa società: quelle pseudo pasionarie che si vergognano di essere definite “madri”, che si indignano se una giovane donna desidera un figlio. E che inveiscono, arbitrariamente, verso l’uomo: emblema del male assoluto nonché portatore di rigurgiti e retaggi maschilisti (in un modello, rigorosamente, arcaico e patriarcale). Oggi, la donna che sposa la causa del femminismo 2.0, non vive per costruire e migliorarsi: ma per demolire, distruggere ed affossare (le donne non a lei omologate e gli uomini in quanto, semplicemente, tali). Ed ecco allora tutti gli attacchi ai ProVita, ai convinti anti-abortisti, a coloro i quali promuovono e difendono la sacrosanta distinzione dei ruoli: l’importanza della madre, esattamente come quella del padre. La donna contemporanea, invasata e succube più o meno consapevole delle mode imperanti, ripudia la maternità, per esempio. O comunque, la relega ad una semplice spunta sulla propria, personalissima to do list: “E adesso, cosa mi manca per sentirmi ‘completa’? Ah, sì…giusto un figlio…”.

MANIFESTI IMBRATTATI E QUELL’ODIO PROFONDO VERSO LA VITA

Adesso vi dirò una cosa scomodissima (tanto per cambiare!): chi vi scrive non è ancora mamma, ma si professa convintamente anti-abortista. E, no: la religione non c’entra nulla. Sono contro l’aborto perché non solo nega la vita (e tutto ciò che nega o minaccia la possibilità di ‘esistere’, io, la combatto), ma soprattutto perché il messaggio dell’interruzione di gravidanza, deresponsabilizza. Negli anni, ho sentito tanti discorsi così superficiali da far credere si stesse parlando di colori dello smalto o degli abbinamenti “borsa-scarpe”: invece no (altro che cavolate!), si parlava di vita. “Vabbè…tanto, nel caso, puoi ancora rimediare” oppure “Non era voluto, non era programmato…io, abortisco! Non lo tengo, non esiste!”. Che ognuno sia libero di autodeterminarsi, sempre e comunque, sono la prima a sostenerlo. Ma “libertà”, non dovrebbe mai far rima con “inumanità”: e l’aborto, visto come scorciatoia o via di fuga, di umano e maturo non ha proprio nulla. Anzi…

Ma torniamo ai fatti: a quelle prove inconfutabili che dimostrano quanto egoismo ed insensibilità, oggi, siano superpotenze difficilmente debellabili. Jacopo Coghe (Vice presidente di Pro Vita e Famiglia), denuncia con un post dai suoi profili social, il vile attacco perpetrato ai danni dell’associazione: i manifesti affissi per le vie di Roma, con scritto “Potere alle donne? Facciamole nascere!”, sono stati censurati dall’assessore Monica Lucarelli (fervida sostenitrice di Gualtieri), nonché imbrattati da un una inequivocabile “Allerta femminista”. Un atto non solo brutto ed oscurantista, ma pure squallido e grave: boicottare chi non la pensa come loro, negare un dato di fatto incontrovertibile, svela l’autentica natura matrigna di queste pseudo donne.

Insomma, anche stavolta “se non la pensi come noi devi stare zitto”: o, meglio, zitta. Alla faccia della suddetta solidarietà…

LINGUAGGIO INCLUSIVO, STORPIATURE LESSICALI E “TRIANGOLI” VARI

Un tempo, c’era chi manifestava per diritti (più o meno condivisibili) e per cause (più o meno giuste): come per la legge Fortuna-Baslini che, nel 1970, introduceva l’istituto del divorzio, finalizzato a “far cessare gli effetti civili del matrimonio”. Oggi, invece, le rilevanti battaglie femministe si fregiano di paladine quali Michela Murgia, Chiara Ferragni ed Emma Marrone: notevoli!

Insomma, le celeberrime storpiature italiote di Boldriniana memoria (avvocata, presidenta, architetta), trovano nuova linfa in quella ridicola “e” rovesciata di nome schwa (o scevà). Termine che deriva dall’ebraico e che si può letteralmente tradurre con “nulla, niente”. Ecco, nulla: come il valore inesistente di queste iniziative. Nulla, come il senso mancante di questi, costanti, affondi alla lingua italiana. Ma lo sappiamo bene: la Murgia vede maschilisti violenti e pericolosi fascisti ovunque (persino, evidentemente, nelle incolpevoli desinenze rivolte al maschile). Lei, combatte strenuamente dalle colonne de L’Espresso. La Ferragni, di contro, si sacrifica con dichiarazioni qualunquiste e prezzolati post. La Marrone, invece, lotta coraggiosa a suon di spot per assorbenti e “triangoli” (che con la geometria, stavolta, non hanno nulla a che fare!). Infatti, più che dell’artista (“artista”), si parla della lei attivista: discutibile persino l’esibizione folkloristica, dal palco dell’Ariston. Nel bel mezzo di una solita canzone (più urlata che cantata), la salentina Emma ci piazza un inequivocabile gesto: il cosiddetto “triangolo” che rievoca i genitali femminili. Una mossa datata 1971 e firmata dall’attivista Giovanna Pala che, a Parigi, nel corso di un convegno contro la violenza sulle donne, si rifece alla rivista femminista francese “Le torchon brule”. Un gesto che, esattamente come l’origine dell’8 marzo, affonda radici nel passato per poi essere (come visto), assai rivisitato. Messaggi importanti o pure trovate pubblicitarie (orchestrate ad hoc)?  La domanda, pare essere retorica. E dalla risposta decisamente pleonastica, scontata.

DUNQUE, FESTEGGIARE…MA COSA?

Che cosa c’è, dunque, da festeggiare come fosse un’ambita vittoria? Non c’è nulla, a mio modesto parere ed attenendomi a quanto raccontato finora. Cosa stanno conquistando, le donne-femministe dei tempi moderni? Niente. Piuttosto, seminano vento ed odio, alimentano la sbagliatissima “guerra all’uomo” e minacciano (non a parole ma ancor peggio coi fatti), quei valori desueti ma bontà loro immortali. Donne ipocrite, autenticamente cattive che delegittimano il ruolo del padre (superfluo!) e che inorridiscono se alla carriera, un’altra (di donna), antepone figli e famiglia (scelta più che legittima, ça va sans dire). Finta solidarietà e farlocche, scontatissime quote rosa: tutto questo, in un malsano e immotivato “braccio di ferro” contro l’uomo e, più semplicemente, contro chi difende idee, valori e vita. Come il cortocircuito femminista de “Il corpo è mio, decido io!”, che poi giubila per le moderne barbarie stile “utero in affitto”. E allora, alle mimose (per chi le apprezza, ovviamente), preferiamo coerenza, coraggio e libertà. Sganciandoci, una volta per tutte, dalla farsa dell’8 marzo e dal suo carrozzone: fatto di frasi “copia e incolla”, interessi meramente commerciali e ridicola facciata. La cattiveria e le bugie continueranno a circolare, certo! Ma, anche stavolta, proviamo ad invertire la tendenza: rivendicando il diritto di essere le donne che siamo, pur anacronistiche o più semplicemente “diverse” dalla massa. Questa è vera indipendenza, questa è autentica solidarietà.

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