“Andrà tutto bene”: come la più grande bugia dei tempi moderni (ci) ha rovinato la vita

da Chiara Soldani

Ve li ricordate i balconi addobbati a festa? Gli striscioni da stadio non carichi di insulti, ma pregni di speranza, ottimismo, vitalità? Certamente sì, li ricordate eccome: gli slogan alla “Andrà tutto bene!”, gli arcobaleni che tappezzavano (imponenti e convinti) finestre e ringhiere, gli inviti coram populo al “restare a casa” oppure ancora gli incoraggiamenti del tipo “Manteniamo le distanze oggi per abbracciarci più forte domani”. Insomma, una treccia ben fitta e stretta: fatta di ottimismo fatuo, esasperato, eccessivo. Una narrazione ipocrita, patetica, a tratti umiliante: come i tutorial di Barbara D’Urso su “come lavarsi le mani”, le canzoni urlate dai balconi in perfetto stile “Notti magiche – Italia ‘90” e l’autosuggestione indotta da media e tv: “Ne usciremo più forti, ne usciremo migliori”. Una sorta di circo grottesco: dove gli animali in gabbia, stavolta, eravamo noi.

Tendone colorato e musica chiassosa, con mantra ripetuti allo sfinimento ed ordini impartiti da un abile, laccatissimo addestratore: l’illustre Premier Conte. Era un 2020 tanto lontano, quanto vicino. L’inizio di un incubo chiamato “Covid” ma non solo: isolamento, paura, terrore. E ancora crisi, fragilità, morte. Un pentolone delle streghe, con dentro tanti veleni, mica solo uno! Mentre tutti (o quasi) fantasticavano su quanto sarebbe stato magico riabbracciarsi, quanto “una volta finito tutto” saremmo stati più compassionevoli e umani, più empatici e profondi, amorevoli e saggi. Si prefiguravano scenari rivoluzionari: meno social, più realtà – meno like e più baci. I dotti commentatori dei salotti buoni, dalle loro poltroncine vellutate, con le lacrime agli occhi non volevano più venderci set di pentole o comodi materassi ma illusioni: su un futuro prossimo a tinte rosa pastello, di un “Io” rigenerato, in una nuova Era fatta di rinnovamento spirituale e decisa presa di coscienza. Beh, da qual lontano (ma non troppo) inizio di tutto, sappiamo bene quanto gli striscioni si siano stinti, i cori spezzati, gli slogan interrotti e, soprattutto, contraddetti…

MARZO 2020: DA DOVE COMINCIA IL NOSTRO “VIAGGIO”

Eccoci, riavvolgiamo per un attimo il nastro. Saliamo su una di quelle macchine del tempo alla Robert Zemeckis e torniamo al 2020, periodo febbraio/marzo. Già da qualche settimana, giungevano notizie da un remoto mercato della Cina. Uno di quegli immensi e astrusi bazar, dove puoi tranquillamente reperire un appetitoso animaletto da cuocere in brodo o fare alla brace: un serpente, un gatto o, perché no, un pipistrello…

Una realtà molto lontana dalla nostra (e per fortuna!): ma non abbastanza da preservarcene, data la feroce velocità, impressa dall’Era progressista e “no borders – senza confini”. Insomma, non si capiva bene cosa fosse capitato in quel “mercato delle pulci” (e non solo, pulci!). Comunque, di una cosa si era già pressoché sicuri: una nuova epidemia, si stava diffondendo. Colpa di un pangolino o errore di laboratorio? Le ipotesi e bizzarre ricostruzioni iniziali hanno poi partorito le più disparate tesi: ma almeno su questo pare essersi fatta chiarezza, con la ricerca realizzata dal team dell’Università Campus Bio-Medico di Roma. La mutazione genetica che ha permesso al Coronavirus di colpire l’uomo è avvenuta sì in un “wet market” – mercato umido” di Wuhan ma per tramite del sangue infetto di un pipistrello (venduto presumibilmente vivo e macellato al momento). Mani sporche di chissà quale venditore e cruore animale, avrebbero quindi innescato il tutto. Da quel momento in poi, ciò che dalle primissime battute sembrava “lontano, troppo lontano” per poterci anche solo vagamente colpire o interessare, cominciò a rivelarsi una nuvola nera incombente. Uno tsunami, purtroppo, preannunciato ma ignorato a piè pari dalla sinistra nostrana. Troppo occupata (con Sala e Zingaretti in pole position), ad addentare gustosi involtini primavera per “combattere questo vergognoso e preoccupante razzismo contro asiatici e cinesi”. Una delle molteplici ipocrisie, di cui vi parlerò in questo articolo.

ZONE ROSSE E PRIMO LOCKDOWN: L’INCUBO INCOMBE SUL NOSTRO PAESE

E dopo il primo vociferare, i timori e quello strano voyeurismo che faceva guardare alla Cina con preoccupazione ed innegabile curiosità, ecco che “Il covid è arrivato anche da noi, in Italia”. E’ chiaro che si tratti di una data meramente simbolica, ma da quel 20 febbraio 2020 molte, moltissime cose sarebbero cambiate. Tutto comincia nelle ore serali, tutto comincia a Codogno: tutto, comincia, nel Nord Italia e nella Lombardia di chi vi scrive. Una cittadina del lodigiano, discreta e tranquilla, diventa il bersaglio massmediatico nazionale. Il cosiddetto “paziente 0” è infatti un 38enne codognese: suo malgrado, diventerà per l’opinione pubblica “il primo appestato d’Italia”, facendo così apparire la malcapitata cittadina lombarda come un lazzaretto da schernire e isolare (in tutti i sensi). Ed ecco qui la prima crepa, nella maschera buonista del “saremo diversi, saremo migliori”: quella solidarietà tanto invocata, comincerà a ricordare il ritornello di una celebre canzone: “Parole, parole, parole…soltanto parole, parole fra noi”.

Il Nord Italia (Lombardia in primis), diventa così il “territorio degli infetti”: quelli da cui bisogna, necessariamente, stare alla larga. E ok, il discorso “contagio da scongiurare”: ma tra fine febbraio e inizio marzo 2020, le maschere dei “buoni” cominciano miseramente a cedere al loro vero volto (tutt’altro che benevolo e umano). Parte così lo sprezzante meccanismo della derisione: diventiamo (veneti e noi lombardi), il prediletto zimbello di bulli da tastiera. Cominciamo a leggere commenti deliranti e beceri come “Fate schifo! Vi sta bene, finalmente, popolo di razzisti…qui, in vacanza, non vi vogliamo…ci portate il virus!”. Un nutrito repertorio di insulti, magari proprio da quei paciosi divoratori di ravioli e involtini cinesi: sempre quelli del “Basta discriminazioni, basta razzismo, abbraccia un cinese!”. E quello spirito di fratellanza? Quella “resilienza collettiva e sociale” della quale si sono tanto riempiti le fauci? Niente, sparite: umanità e coerenza non più pervenute!

Siamo nei fatidici giorni del primo, primissimo esperimento di lockdown: 7, 8, 9 marzo 2020 e la Lombardia “degli appestati” viene chiusa, isolata. A Codogno, invece, la zona rossa era già scattata il 23 febbraio: ma le razzie nei supermercati, quella strana sensazione che qualcosa di brutto e preoccupante sarebbe successo di lì a breve era già ben diffusa. Il covid comincia così a divorare pezzi di vita e vite, mastica voracemente la nostra libertà, strizza l’occhiolino a quegli idioti sinistri inclini ad incoerenza e ipocrisia. E fa leva, eccome, sulla totale incompetenza di Arcuri, Speranza&Co. È il 27 dello stesso mese (febbraio 2020, appunto) e quell’illuminato di Beppe Sala lancia l’ennesimo slogan: “Milano non si ferma!”. E allora “Aperitivi, Signori! Uscite pure di casa che tanto Codogno è lontana e noi possiamo allegramente banchettare! Andiamo avanti, dunque, con la vita di sempre”. Tante foto e stupide iniziative social promosse dai fanatici amici del Beppe meneghino. I soliti personaggi “Vip” del calibro di Cattelan ed immancabile prezzemolina Lucarelli: voltagabbana della prima ora che, una volta vista la malaparata, si sono scaltramente convertiti ad un integralismo fatto di mascherine, chiusure, restrizioni. E dopo i più disparati cambi di programma, arriviamo all’8 marzo: nuovo Dpcm di Conte con misure rafforzate, soprattutto nel Nord Italia.

COME IN UN FILM DI FANTASCIENZA

Nel 1956, uscì nelle sale cinematografiche un film diventato cult: L’invasione degli ultracorpi”. Pellicola tratta dall’omonimo romanzo di Jack Finney, racconta della cittadina di Santa Mira invasa da extraterrestri: creature che si replicano sostituendosi agli umani, cui acquisiscono le sembianze. Uccidono “gli originali” nella notte e vi subentrano loro, nei panni prima indossati dalle vittime. Ed il parallelismo con il covid, il “nemico ignoto e invisibile” che si diffonde più rapidamente di una infetta macchia d’olio, è davvero inevitabile. Peccato che di film, ci fosse allora e continui ad esserci oggi “ben poco”: sono passati 2 anni e non ne siamo ancora usciti. Aspettiamo con ansia i tanto agognati “titoli di coda”: ma stavolta, nella realtà.

DANNI PSICOLOGICI DA ISOLAMENTO E PANDEMIA: ALTRO CHE “ANDRA’ TUTTO BENE”!

Ovviamente nessuno era preparato, noi cittadini non potevamo esserlo (senza dimenticarci, però, di un piano pandemico totalmente obsoleto). Nessuno, salvo casi eccezionali, aveva sperimentato un isolamento così ferreo in un clima di terrore (specie mediatico con bollettini di morti incessanti). Il lockdown da covid, per certi versi ricorda il fenomeno giapponese di Hikikomori: letteralmente lo “stare in disparte, staccarsi” dal mondo esterno preferibilmente in una stanza piuttosto angusta. Uno scollamento fisico e psicologico dalla realtà, diffusissimo soprattutto fra i più giovani. Un isolamento però volontario, da somministrarsi deliberatamente e senza costrizione alcuna. Diverso, certo, dal nostrano lockdown, ma ugualmente preoccupante per i risvolti psicologici e sociali. Ecco, quindi, i primi studi sugli effetti, feroci, delle restrizioni: da una ricerca svolta dal Dipartimento di Scienze Bio-Mediche di Humanitas University, su un campione di 2.400 individui il 21% ha “denunciato” sopraggiunti problemi col partner, il 13% con i propri figli ed il 70% degli studenti, invece, un vertiginoso calo della concentrazione nello studio. Inevitabile quindi un massiccio consumo di massa di farmaci: ansiolitici ed antidepressivi (+14% nell’incremento del dosaggio). Un quadro generale allarmante, caratterizzato da un aumento di attacchi di panico, il riscontro di sintomi clinicamente significativi di disturbo post traumatico da stress e sintomi ossessivo-compulsivi.

DISTURBI ALIMENTARI E LOCKDOWN: L’ENNESIMA PIAGA SOCIALE (E NON)

Come ampiamente affrontato ed approfondito nell’ultimo numero di FUOCO, il cibo è sempre più strumento polivalente: non solo necessario a fini nutritivi ma, anche, transfert affettivo. L’impossibilità di accedere alla propria routine quotidiana (alimentare e motoria), con una notevole zavorra di ansia e noia generalizzata, hanno reso cibo e junk food un rifugio sicuro ma al contempo pericoloso (se mal gestito, ovviamente). Si è riscontrato infatti un aumento del 30% dei DCA (disturbi del comportamento alimentare) soprattutto fra adolescenti (con casi di bulimia ed anoressia nervosa). Tema reso, sempre più, tristemente attuale dagli stupidi e dannosi “meme grassofobici” delle sedicenti influencer: sempre inopportune e pronte a deridere effettivi o presunti aumenti di peso. Un circolo vizioso, quindi, pericoloso e difficile da sradicare.

LA TERRIBILE DAD: COME LA DIDATTICA A DISTANZA SEMINA GUAI

Altro tasto dolentissimo: didattica a distanza. La totale assenza di interazione, i limiti oggettivi di modalità e mezzi pedagogici, la difficoltà nel processo di insegnamento-apprendimento: secondo la Professoressa Chifari Negri (Neurologa), i danni della DAD “riguardano tono dell’umore, quindi depressione, ansia, disturbi del comportamento ecc…ma anche aumento delle dipendenze del 30/40%”. Colpiti soprattutto bimbi piccoli e adolescenti, con “alterazioni anatomiche irreversibili” da aggiungere alle dipendenze online (con, aggravante, un aumento del 27% nel consumo di alcool e droghe). Continua la Chifari: “Con la paura si finisce per lobotomizzare il popolo e per renderlo acriticamente suddito”. Ogni riferimento a persone e fatti non è, stavolta, da ritenersi puramente casuale…

FAMIGLIE IN CRISI E BOOM DEI DIVORZI: ALTRA BOMBA SOCIALE

“La pandemia ha creato l’emergenza familiare non solo quella economica”, ha dichiarato l’avvocato matrimonialista Gian Ettore Gassani. Un boom che ha visto crescere la richiesta di divorzi di un inequivocabile 60%. Un notevole campanello d’allarme che denuncia la crisi generalizzata che affligge la nostra società: l’insofferenza verso i problemi, l’arrendevolezza di fronte alle fisiologiche difficoltà, la precarietà diffusa che colpisce i nuclei familiari. Ecco, per questo e tutto il resto, il covid certamente non ci ha resi migliori, anzi…

Cinismo, stanchezza ed instabilità (economica, emotiva), sono esplosi come bombe ad orologeria, innescate da virus, terrorismo mediatico e disastrosa gestione pandemica. In conclusione, lo sappiamo eccome: non è andato e non sta andando tutto bene. E ad un ottimismo infondato e farlocco, preferiamo un realismo critico che ci veda né vittime né carnefici: piuttosto, protagonisti. Della nostra, di vita, ed in quella collettiva. Che ognuno, anche stavolta, faccia il suo. Per il vero bene di tutti. Senza slogan preconfezionati, ma con coerenti e coraggiose azioni quotidiane: seguendo l’insegnamento di Confucio, facendoci trovare sempre “pronti ad agire”.

TI E’ PIACIUTO QUESTO ARTICOLO?
ACQUISTA O ABBONATI ALLA RIVISTA:

Ti potrebbe piacere anche

Lascia un Commento