I ‘nuovi mostri’ alimentari

da Cristina Coccia

Ai primordi, la possibilità di sopravvivenza dell’uomo era legata alla tecnica grazie alla quale egli riusciva a procurarsi il nutrimento e a conservarlo per il tempo necessario a provvedere al sostentamento della sua famiglia e della sua tribù. Costantemente l’uomo era chiamato ad affrontare le ostilità degli elementi naturali: animali da predare, predatori più forti di lui che potevano massacrarlo, calamità naturali, condizioni ambientali sfavorevoli che gli impedivano di coltivare o distruggevano i raccolti, cattive annate, insetti o parassiti che rovinavano i frutti del suo lavoro. Per scongiurare questi eventi nefasti, l’uomo offriva il cibo migliore agli Dei, in riti collegati alle pratiche agricole, ai fini della conservazione degli equilibri e del rapporto con le divinità, presenti e vive in tutti gli elementi naturali e nel paesaggio.  

La tecnica moderna, mettendo da parte l’aspetto sacro del nutrimento e della natura, eliminando di fatto l’imprevedibilità degli elementi ambientali, si è sostituita agli Dei e la produzione in serie ha cancellato l’ordine naturale e la ciclicità dei doni stagionali della terra. Si è passati dalla coltivazione estensiva a quella intensiva e infine all’uso di fertilizzanti, ammendanti, ingegneria genetica e pratiche usuranti per l’ambiente, la biodiversità e gli alimenti vegetali. Sono state introdotte colture esotiche che hanno sostituito quelle autoctone e hanno creato non pochi problemi di scarsa tollerabilità alimentare nelle popolazioni che non erano abituate a riconoscerle, da un punto di vista immunitario, e quindi a tollerarle. In allevamento, analogamente, si è passati dal pascolo all’aperto a forme di sfruttamento sempre più logoranti  per gli animali, con l’impiego di farmaci, ormoni e mangimi scadenti che hanno come unico scopo l’aumento della massa muscolare e non la salute dell’animale. Tutto in un’ottica di aumento del profitto, come il mercato globale e le logiche economiche e  finanziarie attuali richiedono. Stare al passo con i tempi comporta un sacrificio in termini di salute, a danno degli uomini e del paesaggio,  non più  per compiacere alle divinità della terra, ma per appagare quelle della tecnica e della modernità.

Se il cibo non è il risultato di una catena di montaggio fondata sulla tecnica e sulla produzione in serie – che prevede anche consumatori seriali, dipendenti dalla quantità e non dalla qualità –  diventa, invece, nucleo di un’altra ossessione moderna, che si manifesta nei programmi di cucina, nelle immagini di piatti ricercati nei mezzi di comunicazione o nelle reti sociali come Facebook o Instagram. Foto di cibo, dappertutto. Ogni luogo visitato deve essere accompagnato da un piatto consumato o da una testimonianza mangereccia della propria presenza, tramite la digestione  – e, presumibilmente, anche tramite il deposito dei propri scarti del metabolismo. Dall’ossessione del sesso, per citare Julius Evola, si è passati all’ossessione del cibo. A provare l’incessante decadenza della civiltà moderna […]

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