“White lives matter”: la verità sulle morti scomode oltre l’ipocrisia del razzismo

da Chiara Soldani

“Per me odioso, come le porte dell’Ade, è l’uomo che occulta una cosa nel suo seno e ne dice un’altra”: così scriveva Omero. Un disvelamento tanto impietoso quanto giusto, uno sguardo attento e vigile, oltre la patina ipocrita di chi (come direbbe lo stesso Omero), odiosamente occulta. La stessa ipocrisia, subdola e maligna, che caratterizza la narrazione di certa stampa, la faziosità di un’opinione pubblica manipolata e malleabile come pasta frolla al burro. Sappiamo bene, anche a nostre stesse spese, quanto facile sia essere tacciati di razzismo, xenofobia e derivati. Sappiamo, inoltre, quanto difficile risulti la ricerca e, soprattutto, la diffusione di tutte quelle “scomode verità” (condannata a suon di censure e restrizioni varie). Cercheremo quindi di fare chiarezza, di riassumere puntualmente alcuni dei fatti di cronaca più cruenti e clamorosi, più tristemente emblematici e stemperati dal mondo sinistro dei finti buoni (giornalisti e non, ovviamente). Oltre il velo del politicamente corretto, del buonismo sfrenato e cieco, andiamo a scoperchiare alcuni fra i più scomodi “Vasi di Pandora”: quando sono i bianchi a morire e non ad uccidere o stuprare…

GLI STUPRI DI MILANO: LA SINISTRA OMERTOSA TUTELA I CRIMINALI NORDAFRICANI

Sono ancora nitide e agghiaccianti le immagini delle violenze sessuali di Capodanno. Bloccano il respiro e fomentano sacrosanto sdegno i volti disperati delle vittime, ragazzine colpevoli soltanto di essersi trovate nel posto sbagliato, al momento sbagliato. Come piccole formiche schiacciate e umiliate, colpestate nel corpo e nell’orgoglio da bestie ben più grandi, grosse e “nere”. Adolescenti braccate da un muro dis-umano, bloccate e rese inermi. Derubate non solo delle borsette, dei cellulari: derubate, ancor peggio, della propria intimità, di quel profondo più riservato e personale. Uno stupro di gruppo, in un luogo così centrale e (in teoria) sorvegliato come quello di Piazza Duomo a Milano, è un fatto di cronaca di tale portata e gravità che andrebbe condannato ben oltre i distinguo e precisazioni che andrò a fare (e ci mancherebbe altro!). Ma ciò che si aggiunge all’inaudita gravità degli stupri, delle violenze e lesioni gravi, è la manipolazione della notizia: la sua diffusione edulcorata, la vergognosa coltre di omertà perpetrata da Palazzo Marino e dai “salotti bene” meneghini e non: del resto gli stupratori sono nordafricani, bisogna far silenzio e mantenere sempre alto il vessillo dell’integrazione, dell’umanità.

Il Capodanno violento di Milano, ci ricorda tristemente i fatti di Colonia del 2016: era sempre la notte di San Silvestro, le vittime decine di donne e ragazze, gli aggressori ancora una volta stranieri.  “Li respingevamo ma ridevano”, denuncia una delle ragazze stuprate in Duomo: e le femministe? Anche stavolta mute (in perfetto stile Boldrini e Lucarelli, del resto).

Lo sappiamo bene: nazionalità e colore della pelle sono elementi cruciali. Un razzismo capovolto, però. Perché denunciare i crimini dei “neri”, degli stranieri tutti, è quanto mai scomodo. Perché in un giornalismo ideologico e fazioso, la ricerca della verità è decisamente un fattaccio ingombrante, una non priorità.

La scusa sempre pronta del razzismo, l’immancabile ingrediente di qualsivoglia ricetta, discrimina e ghettizza: ci sono morti e vittime di serie A, esattamente come ci sono morti e vittime di serie B. Le ragazze di Milano, come le altre di cui avanti tratteremo, rientrano loro malgrado nella seconda, dimenticata categoria.

LA MORTE IGNORATA DI DAVIDE GIRI: UNA VITTIMA SCOMODA PER LA STAMPA INTERNAZIONALE

Era un brillante 30enne: dottorando di ricerca alla Columbia University, laureato col massimo dei voti presso il Politecnico di Torino, appassionato di sport e vita. Davide Giri non era certo il George Floyd di turno: mediaticamente non conforme agli standard del politicamente corretto, un ragazzo bianco e occidentale, una vittima innocente di un killer di cui è meglio tacere…

Davide stava, come ogni sera e come racconteranno in seguito gli amici, attraversando il Morningside park di New York. Erano passate le 23 di venerdì 3 dicembre scorso. Una sera qualunque, apparentemente qualunque. Perché dopo la consueta partita di football, Davide si stava ritirando nella sua residenza universitaria. Se non avesse incontrato la furia omicida di Vincent Pinkney, non cercheremmo ancora “giustizia per Davide”. Una giustizia che, ad oggi, è solo tristemente effimera: il giovane studente bianco è stato barbaramente ucciso ed altrettanto barbaramente ignorato. Rispetto al caso Floyd, qui i ruoli erano ben ribaltati: il killer (25enne pregiudicato), è infatti un afroamericano già noto per i suoi precedenti penali e per l’adesione ad una delle più sanguinose gang del Queens (la Every body Killas). Pinkney è un “fanatico razzista che odia i bianchi”: un soggetto di cui è stato meglio non scrivere e non parlare. Un assassino spietato, una bestia feroce che oltre al povero Davide, aveva aggredito anche un altro italiano: il turista Roberto Malaspina: “Pelle e capelli chiari, sfortuna pazzesca ma almeno se la caverà – ha raccontato il padre poco dopo l’accaduto – (il killer) lo ha colpito senza motivo, per il solo gusto di farlo”. Malaspina è stato “fortunato” in quella notte disgraziata di New York: poco prima, ore 22.55, il “nostro” Davide era stato brutalmente accoltellato all’angolo fra Amsterdam Avenue e la 123esima strada. Ma l’afroamericano aveva proprio “fame di sangue”: difatti un’altra coppia, poco dopo il ferimento mortale, era stata aggredita nel cuore di Central Park. Una sequenza di inaudita ferocia: ma i media americani, hanno strategicamente minimizzato.

LA DENUNCIA DI RAMPINI E LA SUA ONESTA’ INTELLETTUALE: IL PROFILO “SCOMODO” DEL KILLER “NERO”

E se persino un giornalista (certo non tacciabile di razzismo) come Federico Rampini si è coraggiosamente scagliato contro la stampa “a stelle e strisce”, vuol dire che la morte di Giri sia stata davvero un triste esempio di omertà e manipolazione ad hoc. La celebre penna e inviato di spicco, non ha risparmiato condanne perentorie e controcorrenti. “Perché su Pinkney i lettori del NY Times non sanno nulla a parte età e cognome? L’interesse del quotidiano e il vigore investigativo messo in campo, sarebbero stati diversi se le parti fossero state rovesciate. Se cioè la vittima fosse stata afroamericana e l’omicida un bianco. A maggior ragione se quel bianco fosse stato un membro di qualche organizzazione che predica e pratica la violenza, per esempio una milizia di destra. La tragedia sarebbe finita in prima pagina, un team di reporter sarebbe stato mobilitato per indagare l’ambiente dell’omicida, la sua storia e le sue motivazioni”, così ha sentenziato la firma autorevole del Corriere della Sera. Se come ipotizzato da Rampini, le parti fossero state invertite, avremmo di sicuro assisto ad un “Black lives matter” bis. L’infinita ipocrisia generata dall’omicidio di George Floyd (il 20 maggio 2020), avrebbe nuovamente inondato di inchiostro e veemenza mediatica non solo le prime pagine dei quotidiani “di punta”: ma, come peraltro accaduto, mondo dello spettacolo, dello sport e opinione pubblica tutta, avrebbero intonato cori chiassosi e srotolato chilometrici striscioni (mettendo a ferro e fuoco intere città con azioni vandaliche e violente). E invece, silenzio. Articoli minuti e spicci, relegati in spazi angusti e poco accessibili dei quotidiani americani e non. Continua Rampini, senza filtri: “Con l’omicidio dell’afroamericano George Floyd, una purga all’interno delle redazioni ha allontanato diversi reporter che non erano allineati con il radicalismo di Black Lives Matter. ‘Le vite dei neri contano’ è uno slogan che sembra applicarsi solo quando gli assassini sono bianchi e razzisti; la stragrande maggioranza delle morti violenti, tra i Black, passano inosservate…il dolore per l’assurda morte di Giri non verrebbe risarcito da una diversa attenzione della stampa, però questa vicenda offre uno sguardo inquietante sul ‘nuovo giornalismo’ militante e condizionato dalla sua agenda ideologica. Anche la cronaca nera si piega a questa logica tribale”. La disamina lucida e amaramente impeccabile di Rampini, non necessita di precisazione o nota alcuna.

QUANDO LE VITTIME SONO GIOVANI DONNE BIANCHE: RICORDANDO PAMELA E DESIREE

La cronaca nera (è davvero il caso di dirlo) ha scritto anche in Italia pagine pregne di violenza, sangue e ipocrisia. Il consueto doppiopesismo che si estende a macchia d’olio: dalla politica alla cronaca, appunto, non risparmia proprio nessuno. Sono passati pochi anni ed altrettanto poche sono state le parole, il fiato e l’inchiostro riservato per loro: due giovanissime ragazze irretite, violate, stuprate e uccise da assassini (anche stavolta) nordafricani. Sto parlando di Pamela Mastropietro e Desiree Mariottini. Due vite diverse ma a tratti simili: ragazze delicate, fragili, indifese difronte a bestie disumane capaci persino di vivisezionare (Pamela), come fosse carne destinata in macelleria. “Così fu uccisa Pamela”:un fatto di cronaca che devastò la sensibilità dell’opinione pubblica più vera (quella che non si lascia piegare dagli slogan di Letta e Saviano o dalle chiacchiere fatue di Draghi e compagni). Della Mastropietro si parlò, certo. Ma non tutti, come sempre, ebbero il coraggio e l’onestà di farlo (femministe sinistre in primis). Perché Oseghale, il suo carnefice, era nigeriano. Perché in quel 29 gennaio 2018, lui stesso ne violò ripetutamente il corpo, facendolo letteralmente “a pezzi”, senza pietà. I dettagli che trapelarono dall’autopsia della giovane, furono agghiaccianti: “Smembrata da viva”. Ma di quel corpo femminile di cui tanto la sinistra femminista parla, per Pamela non ci furono né parole, men che meno sdegno per Oseghale e solidarietà, per la povera vittima.

Stesso impietoso trattamento, per la ragazzina ritrovata morta e deturpata in uno stabile fatiscente del quartiere San Lorenzo di Roma. Aveva 16 anni, Desiree. Era ancora vergine e anche per questo dettaglio non trascurabile, lo stupro cui venne sottoposta da 4 giovani africani (ghanesi e nigeriani), fu ancor più violento e per lei doloroso. Una violenza di gruppo, perpetrata per interminabili ore: ed il cuore della piccola Desiree non resse.

“LE VITE DEI NERI CONTANO, QUELLE DEI BIANCHI INVECE NO”

Un resoconto doloroso e pregno di rabbia e sdegno, questo. La rabbia, per la consapevolezza amara delle logiche imperanti che si replicano, immutate, negli anni. Ed il dolore verso l’ingiustizia, la discriminazione ipocrita, maligna e vigliacca che vede i bianchi “le vittime non tutelate della serie B” giornalistica e mediatica. Davide Giri e le “ragazze di Milano”, Pamela, Desiree e tutte le altri “morti bianche”: che queste parole non siano solo “un articolo”. Che queste pagine e battiture, siano un ricordo sincero ed una condanna ferrea e perentoria: “White lives matter!”, perché le vite dei bianchi, contano eccome.

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1 commento

Stefano B. 23 Gennaio 2022 - 20:42

Schietta, combattiva, ferma su nobili princìpi morali, mi ricordo così Chiara Soldani da quando la seguivo su fb al tempo della sua collaborazione col pn. Scoperto per puro caso questo suo articolo, vedo che è rimasta fedele a quei valori (cosa complicata oggi. Tra vergognose censure e manipolazioni ideologiche da parte dei “”buoni”” e “”giusti””, non in pochi tendono a cadere e ad arrendersi). Brava Chiara!

Stefano B.

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