Siamo quello che mangiamo?

da FUOCO

Secondo l’organica visione tradizionale, l’uomo è strutturato in base alla triade di elementi differenziati, ma concatenati: corpo, anima e Spirito. Il corpo è il piano esteriore e grossolano, l’elemento visibile e materiale, l’aspetto epidermico e tangibile; l’anima è il piano sottile, l’insieme delle energie vitali, quali sentimenti, paure, gioie, facoltà mentali che, a loro volta, si distinguono in facoltà inferiori e sensibili (l’istinto) e facoltà superiori (il ‘soffio’); lo Spirito è il ‘granello di senape’ contenuto nel più piccolo ventricolo del cuore, il raggio di sole, l’elemento sovrannaturale. Corpo, anima e Spirito sono piani distinti ma non separati poiché, essendo una la realtà, lo Spirito si manifesta sul piano sottile come anima e, a sua volta, l’anima si manifesta nella dimensione grossolana e visibile come corpo: metafisicamente, diremmo che l’elemento superiore contiene quello inferiore e così, se l’anima è la forma del corpo, lo Spirito è l’essenza dell’anima. 

Premessa doverosa, poiché al lettore attento di ‘Fuoco’ non sfugge come i contenuti della rivista non ignorino mai la triade sopra accennata, essendo scopo fondamentale fornire sostegni per la restaurazione organica e integrale dell’essere umano. Tuttavia, come la Tradizione insegna che l’uomo non deve trascurare corpo e anima, al fine di pervenire alla Conoscenza, così il mondo moderno ha fatto di tutto per sovvertire l’ordine normale delle cose, negando lo Spirito e attaccando sia l’anima che il corpo. È vero, viviamo nella società del ‘culto della fisicità’, dove più o meno tutti sono ossessionati da diete, palestre e atletismi vari; ma questa attenzione non deve indurre in errore, poiché testimonia il risultato di quel sovvertimento dinanzi accennato, ove un fisico bello e atletico è figlio della mentalità edonista che privilegia l’apparire e non l’essere, fumo negli occhi che cela fragili giganti dai piedi di argilla. 

D’altronde, l’opulenta società occidentale allevi bambini obesi e adulti condizionati da malattie cardiovascolari o neoplastiche e buona parte del cibo in circolazione è vera e propria spazzatura, ‘monnezza’, in dialetto romanesco. E se, come affermava il tedesco Feuerbach, noi «siamo quello che mangiamo», c’è da stare poco allegri pensando alle prospettive future che prevedono insetti al posto delle fette biscottate, carni sintetiche invece che salsicce ‘a punta di coltello’, latticini in laboratorio e non più mozzarelle di bufala. La follia contemporanea, non potendo rinunciare alle logiche consumistiche che tengono in piedi la società del libero mercato dove, ricordiamolo, l’uomo non conta ma solo il consumatore, aggiunge alla già malandata alimentazione esportata dai ‘padri del burro di noccioline’, tutta proteine animali, alcool, coca-cola e snack, anche le derive degli animalisti e dei vegani, fatte di cibo ‘sostenibile’ e animal free, o le interessate speculazioni dei filantropi capitalisti, per i quali i cibi sintetici aiuterebbero a sfamare le popolazioni povere del mondo e salvare il pianeta dalla catastrofe imminente. 

Pertanto, se già interrogandosi su ‘ciò che fa’ l’uomo contemporaneo, emerge uno stile di vita squilibrato e scorretto, ingabbiato all’interno del sistema materialistico il cui archetipo è soddisfare a tutti i costi ogni bisogno, alla domanda su ‘ciò che egli mangia’, il quadro si completa essendo quest’ultima parte integrante della prima. In altri termini, la scarsa qualità del cibo è la cartina da tornasole dello stato patologico in cui versa la nostra epoca, ulteriormente peggiorata da quanto sta avvenendo a causa della recente pandemia.

L’apparente paradosso per cui oggigiorno si parla continuamente di cibo, stante le innumerevoli attenzioni mediatiche sul tema – se un tempo in Italia erano tutti allenatori di calcio, oggi sono tutti cuochi o chef – ma anche il rinnovato interesse finalizzato a valorizzare l’inestimabile cultura enogastronomica nazionale, è in realtà un fenomeno coerente coi tempi che corrono e solo apparentemente in controtendenza.

Queste sono l’espressione, infatti, di nuove mode che si affermano – e la moda in quanto tale è una forma di controllo sociale – dai connotati elitari e radical chic, in quanto all’interno della società dei consumi il valore resta sempre la quantità e non certo la qualità e quest’ultima, quando c’è, è riservata ai pochi che se la possono permettere. Infatti, il cibo quotidiano della gran parte della popolazione, quella che ancora consuma tre pasti al giorno e non si trova in condizioni di povertà crescente, è imbottito di conservanti e coloranti, è il risultato di coltivazioni intensive massacrate da pesticidi e sostanze chimiche, è il prodotto in serie tipico del sistema industriale. Il carrello della spesa si riempie di ‘monnezza’, l’anima si contamina di ‘monnezza’ – vista la profondissima relazione esistente tra benessere corporeo e mentale testimoniata da antichi insegnamenti quali il «mens sana in corpore sano» – e tutto questo, a sua volta, produrrà altra ‘monnezza’, in un ciclo continuo che non risparmia nessuno, né l’uomo né l’ambiente. E la soluzione a questa forma di economia lineare – visto che sempre di spazzatura stiamo parlando – non la si trova certamente nelle nuove e alternative sperimentazioni alimentari alle quali abbiamo accennato in precedenza – insetti, carni sintetiche, ecc. –, poiché queste ultime rispondono esclusivamente alla necessità del sistema di autorigenerarsi, imponendo, come sta avvenendo in altri ambiti, la nuova veste green e sostenibile allo stile di vita del loro uomo nuovo. 

Il cibo del futuro, che vede quale primo sostenitore l’UE e l’Occidente in generale, ma anche magnati e filantropi, personaggi dello spettacolo, progressisti e ambientalisti, e che molti osservatori hanno definito come la nuova ‘food revolution‘, è un altro tassello nel mosaico che gradualmente, a partire dal primo numero di questa rivista, abbiamo ricostruito. Prenderne coscienza vuol dire intraprendere una battaglia che, ebbene sì, passa anche per le nostre tavole. 

La ricerca della qualità, infatti, è l’espressione di un modo d’essere interiore, per cui il ‘come’ si antepone al ‘quanto’, così che, anche nel campo dell’alimentazione, ciò si traduce nel sapersi moderare, imparando a mangiare e non a ingurgitare, arrivando a privarsene quando non è possibile salvaguardare la qualità. Quanti benefici da un sano e disciplinato digiuno! Non si tratta, quindi, di una battaglia salutista fine a sé stessa ma della consapevolezza che, parafrasando insegnamenti tradizionali, il corpo non è la prigione dell’anima, ma il tempio dello Spirito e l’alimentazione, pertanto, deve essere consapevole, bilanciata ed equilibrata. 

Allo stesso tempo, l’educazione al mangiar bene assume i connotati di una battaglia in favore di una economia più sociale, poiché la corretta e sana alimentazione privilegia la filiera corta, i piccoli e fidati produttori, le aziende agricole a conduzione familiare, i prodotti possibilmente a chilometri zero coltivati nel comprensorio, nella regione o al massimo in altre regioni d’Italia, l’attivazione di gruppi di acquisto solidali in alternativa alla grande distribuzione. 

Se è vero, come afferma Confucio, che «non c’è uomo che non possa bere o mangiare, ma sono in pochi in grado di capire che cosa abbia sapore», tale riscoperta del ‘sapore’ non può prescindere da un completo lavoro su se stessi, perché un corpo efficiente e in buona salute è lo strumento per condurre in maniera attiva la milizia quotidiana in nome del Giusto e del Vero.

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