Poiché lo stato liberale è ormai dipendente dalla spasmodica ricerca dell’hype emotivo-sentimentale, anche i grandi sommovimenti che caratterizzano la nostra epoca sono soggetti alla logica algoritmica di Instagram. Più un tema è toccante, scioccante, sconvolgente, più suscita attenzione. Ma non dipende dalla portata dell’argomento in sé, bensì da come viene ritratto dai media e da come viene gettato in pasto all’opinione pubblica social. Che a sua volta autoalimenta il circuito e influenza l’agenda comunicativa.
La pandemia ne è certamente un esempio lampante, con bollettini catastrofici, allarmismi, discussioni sull’applicazione delle restrizioni e sulle campagne vaccinali che fagocitano così tanto i cittadini da distogliere per mesi, per anni, l’attenzione da altri temi. O quantomeno da rendere i riflettori sul resto non più stabili bensì stroboscopici.
Per paradosso, le guerre, le faide nelle aree di crisi, le catastrofi umanitarie, finiscono così per diventare volano per evadere per qualche giorno appena dalla quotidianità fatta di argomenti sempre uguali.
Cosa differenzia allora il modo in cui un utente social percepisce le Olimpiadi o gli europei di calcio dalle bombe nella Striscia di Gaza? O dalle fughe disperate da Kabul assediata dai talebani? Nulla.
È così che nascono le ‘fashion wars‘, quelle guerre vissute da lontano e senza approfondimento, senza conoscenza, senza analisi, senza insegnamenti. Scatenano la rincorsa al post più toccante possibile e quindi alla ricerca dell’ammontare di like più cospicuo possibile. Nulla di più. Un meccanismo certamente non segreto, ma che con la spersonalizzazione che avanza finisce col recare danni sostanziali intanto ai protagonisti stessi dei drammi, che vengono trattati alla stregua di personaggi dei reality e, in secondo luogo, alle professioni.
Se tutti commentano tutto allo stesso modo, postando le stesse foto, aggiungendo le stesse didascalie, pur di sciacallare approvazione sociale, chi davvero avrebbe la forza, la capacità e la possibilità di raccontare e far comprendere quello che succede come può non sentirsi svilito, confuso tra le migliaia di voci che sbraitano slogan? […]