Comprendere la geopolitica per tornare sovrani. Intervista a Marco Ghisetti

da Marco Ghisetti

Poco conosciuta dal grande pubblico, a tratti schernita e dimenticata nelle nazioni-vassallo (a tutte le latitudini), ma importantissima e seriamente studiata nei Paesi che dominano gli scenari internazionali: è la geopolitica. E’ opinione diffusa che di tale disciplina non ci si occupa, infatti, proprio da quando la superpotenza che la pratica veramente – gli Stati Uniti – aveva fatto in modo che i popoli sottomessi non la studiassero e non fossero quindi tentati di praticarla. Proprio di Stati Uniti e della “talassocrazia” che questa potenza esprime è dedicato il saggio di Marco Ghisetti, giovane studioso di geopolitica e relazioni internazionali.


Partiamo dal titolo della tua opera appena pubblicata: Talassocrazia. I fondamenti della geopolitica anglo statunitense. Che cos’è, innanzitutto, una ‘talassocrazia’ e come si spiega il concetto in chiave geopolitica?

Per “talassocrazia” si intende una strategia mondiale di dominio fondata sul potere marittimo, ovvero sul dominio e supremazia sugli oceani e mari del mondo, con tutto ciò che ne consegue: gestione più o meno diretta dei flussi finanziari, del commercio mondiale, capacità di estensione inter-oceanica, eccetera. Tale definizione va però approfondita aggiungendo che una strategia di dominio marittimo comporta necessariamente anche un vero e proprio donarsi al mare da parte dell’attore che vuole fare propria la strategia talassocratica, ovvero una decisione volta ad affermare la propria insularità, a trasformarsi in un’isola, ad unirsi ai flutti del mare e, quindi, di modificare di conseguenza e finanche profondamente il proprio orizzonte di senso e la propria visione del mondo in un’ottima marittima; tutte cose, queste, che sono tappe fondamentali per qualsiasi attore che voglia intraprendere una strategia mondiale di domino marittimo.

Il tuo libro cerca di ripercorrere la storia della geopolitica anglo-statunitense e la relativa politica estera anglo-americana. Quali sono gli elementi di continuità che ne definiscono l’identikit e le principali peculiarità ancora in essere a tutt’oggi?

Il principale filo rosso che connette la loro storia geopolitica è chiaramente quello di essere attori talassocratici; caratteristica, questa, che come detto, che ha influenzato sia la loro storica azione strategica sia la loro identità e interpretazione che hanno di se stessi e del mondo. Da oltre cent’anni la politica estera di Stati Uniti e Regno Unito mostra una sostanziale continuità che è possibile individuare tramite una approfondita conoscenza delle loro dottrine geopolitiche per come esse sono state definite con l’inizio della èra postcolombiana (inizio XX secolo), poiché la realtà geostorica del mondo è rimasta essenzialmente inalterata. Ovvero, la particolarità dell’Inghilterra è di essere un’isola al largo del continente europeo e la particolarità degli Stati Uniti è di essere un’isola continentale circondata dal continente eurasiatico; particolarità, queste, che indirizzano la loro rispettiva strategia marittima a mantenere, da una parte, il predominio marittimo e prevenire, dall’altra, ogni tipo di integrazione continentale che possa compromettere il loro primato marittimo. Tutte le prescrizioni, i timori, i desideri e le contraddizioni che ne conseguono e caratterizzano la loro politica estera hanno come fonte precisamente questa collocazione e rappresentazione geopolitica.

Carlo Terracciano

In un passaggio del tuo ultimo libro ti soffermi su Carlo Terracciano e sull’idea dell’Eurasia (‘tradizionalista’) in contrapposizione all’isola americana (liberale). Quali teorie ed intuizioni del compianto Terracciano sono oggi più che mai valide, nonostante siano passati oltre 15 anni dalla sua scomparsa terrena?

Per ovvie ragioni biografiche non ho mai avuto modo di conoscere Terracciano di persona e mi sono imbattuto nei suoi scritti solo in seguito alle iniziative di Edizioni all’insegna del Veltro e Editrice AGA di ripubblicare i suoi lavori, quando cioè le sue ceneri erano state disperse già da molto tempo sul cimitero militare della Futa. Nel mio lavoro mi avvalgo delle intuizioni di Terracciano in tre sensi, che ritengo rendano il suo pensiero ancora attuale. Primo, Terracciano ha proposto degli utili riassunti e approfondimenti di geopolitica nel suo lavoro di divulgazione, che mi hanno aiutato ad individuare e descrivere i fondamenti sia della talassocrazia che della geopolitica anglo-statunitense. Secondo, Terracciano individua ed insiste molto sull’elemento volitivo inteso come componente necessaria di ogni agire politico degli attori internazionali, contribuendo così anche allo sviluppo dello disciplina geopolitica in un senso teorico da offrire in particolar modo ad un’Europa che continua a sembrare di aver esaurito ogni tipo di volontà politico-spirituale in seguito agli sforzi bellici del XX secolo. Tale sviluppo teorico è un qualcosa che con il presente libro approfondisco ulteriormente. Infine, Terracciano ha attivamente cercato di contrastare la talassocrazia anglo-statunitense favorendo la creazione di un’Eurasia unita, tellurica e fondata su una visione del mondo di tipo tradizionalista che  si distanziasse anche ideologicamente dalla matrice ideologica propria dei lupi di mare anglo-statunitensi, poiché essi si caratterizzano per orientarsi e promuovere una visione del mondo di matrice liberale che, come mi impegno a mostrare nel libro, è una visione intimamente legata ad una strategia di dominio e di visione del mondo di tipo talassocratico.  Va infine detto che nel libro tratto l’autore fiorentino (nato a Bologna) anche per quanto riguarda la storia del pensiero geopolitico, precisamente quando dibatto e discuto le principali scuole europee che hanno cercato di contrastare e fornire un contraltare alla percepita aggressività della talassocrazia anglo-statunitense, dalla geopolitica tedesca classica all’odierno neo-eurasiatismo.

Alla luce della disamina contenuta nel tuo libro, come ritieni possa evolvere l’attuale egemonia statunitense nei prossimi 10 anni? Le sfide imposte dal post-pandemia, nonché l’escalation della tensione degli Usa con Cina e Russia, pensi potrebbe mettere in crisi la ‘pax americana’?

Bisogna innanzitutto capire cosa si intende per “pax americana” e se essa costituisca effettivamente una “pace”. La creazione del mondo di Yalta, ovvero di un mondo diviso tra rampanti Stati Uniti e una Unione Sovietica dissanguata e provata dalla guerra, che venne attivamente promossa dagli Stati Uniti, potrà anche aver goduto di una generale stabilità ma passò per due guerre mondiali e la liquidazione degli Stati europei quali attori mondiali primari, a cui va aggiunto, in seguito al crollo inglorioso del comunismo storico novecentesco, i numerosi progetti di frammentazione e destabilizzazione dello spazio eurasiatico e sudamericano promossi dagli Stati Uniti onde evitare la nascita attori che potessero sfidare la loro egemonia. Tentativi che tuttavia non sono riusciti ad impedire il riaffermarsi della Russia e della Cina.

E riguardo all’evoluzione dell’egemonia statunitense?

Riguardo all’evoluzione di questa nei prossimi dieci anni, una corretta comprensione dei fondamenti della loro geopolitica offre certamente un buon orientamento sia per capire i principali sviluppi internazionali sia per fare delle previsioni ragionevolmente precise, anche perché sia Stati Uniti che Regno Unito, ovvero i due principali attori talassocratici contemporanei, hanno pubblicato proprio in questi mesi le strategie a cui si atterrano proprio nel prossimo decennio. In queste strategie vi è un’evidente riaffermazione dei principi della dottrina geopolitica talassocratica, che il mio libro ha il manifesto obiettivo di individuare e studiare. Attualmente nel mondo internazionale vi sono due principali tendenze: quella della frammentazione del pianeta, perseguita dagli Stati Uniti onde evitare l’affermarsi di un nuovo egemone regionale (e perseguita principalmente per il tramite della propria marina militare), e quella dell’integrazione continentale, perseguita principalmente da Cina e Russia (ma anche da Iran e altri Paesi minori), i quali, invece, cercano di diventare egemoni regionali e di prevenire un’ulteriore frammentazione del pianeta che favorirebbe Washington. L’attrito causato da questa doppia e conflittuale tendenza – tendenza che si è approfondita in seguito alla (vera, presunta o esagerata che sia) pandemia di Covid-19 – sta trasformando tre aree del mondo in particolare in delle zone di scaricamento delle tensioni internazionali, ovvero nei luoghi dove nei prossimi dieci anni si combatteranno le principali partite per il dominio mondiale: (1) il Mar Cinese Meridionale, (2) la mezzaluna che comprende l’Europa orientale, il Mediterraneo e il Vicino Oriente (3) e il Mar Artico. Il mondo si sta chiaramente caratterizzando per una affermazione di nuovi centri di potere e una diminuzione della potenza relativa statunitense. Il tramonto o la sopravvivenza della superpotenza americana dipenderà dal successo o dal fallimento degli Stati Uniti di mantener radicata la propria presenza in queste tre aree vis-a-vis l’abilità degli attori integrazionisti di estrometterla; radicamento, quello statunitense, che dipende appunto dalla capacità di proiezione della marina statunitense.

La geopolitica è una dottrina fondamentale per ogni Nazione al fine di identificare, organizzare e implementare i propri interessi nazionali, nel solco della propria sovranità e di un concetto – oggi più che mai negato – qual è quello di identità. Da giovane, ma già qualificato, studioso di questa disciplina, come giudichi lo stato della geopolitica in Italia?

Lo stato e la storia della geopolitica in Italia è per certi versi davvero singolare e curioso. Dopo il silenzio postbellico, già negli anni Ottanta si era registrata una rinascita della disciplina geopolitica grazie all’opera, tra gli altri, delle suddette case editrici e di Terracciano; rinascita che si è successivamente ampliata grazie all’aggiungersi di vivissime collaborazioni, dibattiti e scambi di idee avvenuti tra pensatori e autori provenienti dai più diversi retroterra culturali: si pensi ai dibattiti sull’Unione Europea tra il credente e tradizionalista Claudio Mutti e l’ateo marxista-hegeliano Costanzo Preve ospitati dalla rivista di geopolitica “Eurasia”. A ciò si affiancano inoltre le esperienze di numerose altre case editrici e autori che hanno effettivamente cercato di offrire prospettive geopolitiche di ampio respiro per l’Italia e lo spazio euro-mediterraneo in generale, prospettive e contributi molto ricchi e variegati, degni di essere letti e studiati attentamente.

Ma quanto ritieni incida tale disciplina, e le riflessioni che ne derivano, nella politica estera del nostro Paese?

Nonostante la presenza di questi vivissimi studi e dibattiti, l’azione dell’Italia nel mondo, così come dell’Europa in generale, sembra caratterizzarsi per una vera e propria volontà di impotenza, ovvero per un apparentemente categorico rifiuto di recuperare non dico il ruolo di protagonista di cui aveva goduto fino alla prima metà del XX secolo, ma per lo meno di ritagliarsi una funzione che non sia quella del passivo oggetto di brama di potenze extraregionali. Ma per capire come sia possibile che così ricchi e freschi torrenti di pensiero geopolitico siano fino ad ora rimasti nel sottosuolo senza mai riaffiorare in superficie inondandoci di vita, bisognerebbe individuare quali potenze extraregionali nutrano l’interesse a mantenere il nostro Paese e l’Europa intera in uno stato di passiva sudditanza offrendoci e nutrendoci di anormali rappresentazioni di noi stessi, oltre che del come e perché e lo fanno. Attori e interessi, questi, che nel presente libro mi sono impegnato di individuare e svelare.

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